Regia di Sally Potter vedi scheda film
La storia si sviluppa nel 1962 a Londra e racconta della profonda amicizia tra le due adolescenti del titolo, nate nel 1945, il giorno del lancio della bomba atomica su Hiroshima (il film si apre su immagini di repertorio di quell’immane tragedia). Inseparabili ed affiatate - più riservata e introversa la rossa Ginger, con la passione per la poesia, più disinibita, ribelle, inquieta ma molto religiosa la castana Rosa, già alla ricerca dell’amore della vita, nonostante la giovane età - le due ragazze passano gran parte delle giornate insieme, spesso marinando la scuola, condividendo la scarsa stima per le rispettive madri di cui non vogliono ripetere né i medesimi sbagli né le medesime rinunce. Nel pieno di una guerra fredda che appare sempre più minacciosa ed incombente, decidono di partecipare alla campagna per il disarmo nucleare. Il coinvolgimento di Ginger, grazie anche alla conoscenza di Bella, un’attivista americana, militante e femminista, diventa molto forte e partecipe, soprattutto in coincidenza con la drammatica crisi missilistica cubana. Ben presto Ginger, dopo la separazione dei suoi genitori, a causa del rapporto conflittuale con la madre Nat, decide di andare a vivere con l’adorato padre Roland. Quando Rosa inizia una relazione con Roland, l’amicizia con Ginger sfiorisce.
Sally Potter ha avuto il suo effimero momento di gloria ad inizio anni novanta grazie al successo critico di “Orlando”, due candidature agli Oscar ed in concorso alla Mostra di Venezia. Dopo quel film, tratto dall’omonimo romanzo di Virginia Woolf e leggermente sopravvalutato, da ricordare più che altro per la sublime prova di un’inarrivabile Tilda Swinton, altre due pellicole uscite in Italia ma oggi giustamente cadute nell’oblio (il narcisistico e spesso insopportabile “Lezioni di tango” e il vuoto “The man who cried – L’uomo che pianse” con Johnny Depp), quindi il nulla o quasi. “Ginger and Rosa”, presentato al Festival di Torino del 2012, conferma la discontinuità di una regista che fatica a realizzare un’opera pienamente compiuta. Il grosso problema del film è non riuscire a conciliare la componente storica (a conti fatti pretestuosa) con il lato intimo e privato del racconto. La Potter, anche sceneggiatrice, sta addosso alle sue protagoniste con emozionanti primi piani, sceglie con intelligenza la prospettiva febbrile di Ginger, smarrita e confusa da eventi più grandi di lei e sa cogliere, nella prima parte, decisamente la più convincente e riuscita, con fine sensibilità e delicata introspezione le sfumature di un’amicizia totale, complice ed appagante in un duplice e sfaccettato racconto di formazione con più di un elemento autobiografico. Purtroppo però a lungo andare la regista si perde in dialoghi banali e prestampati, in svolte melò posticce ed ampiamente prevedibili (la relazione tra il padre di Ginger e Rosa) e soprattutto non va al di là di un ritratto approssimativo e sommario del contesto storico, affidato per lo più a fugaci resoconti radiofonici, rapide riunioni o manifestazioni di protesta (Ginger viene pure arrestata durante una marcia contro la bomba), limitandosi soltanto a sfiorare troppi temi, a volte affrontati pure in modo didascalico e nella stantia cornice di un dramma familiare telefonato. Anche i personaggi di contorno appaiono sfumati e poco definiti: dalla madre di Ginger, “la moglie martire” (l’ottima Christina Hendricks, la Joan di “Mad Men”), un tempo talentuosa studentessa ora pittrice mancata che ha rinunciato alle sue aspirazioni per crescere una figlia avuta troppo presto, all’attivista Bella (una quasi irriconoscibile eppur incisiva ed eccellente Annette Bening) ridotta, ahimè, a mero stereotipo, dal padre di Rosa, bohemién anticonformista, poco incline al rispetto delle regole, egoista, immaturo ed ipocrita (chiede alla figlia di non rivelare alla madre la sua relazione con Rosa), ben consapevole di non essere all’altezza delle aspettative di Ginger (ma il personaggio è privo di spessore e anemico, troppo scritto) fino alla coppia gay Mark e Mark Two (gli esilaranti e formidabili Timothy Spall e Oliver Platt), sacrificati in una vicenda incapace di prendere una direzione precisa. Il faccia a faccia finale tra tutti i personaggi è plateale, ai limiti della soap opera, piuttosto pacchiano e ridondante. Su tutti, accanto alla pur brava esordiente Alice Englert (la figlia di Jane Campion) domina comunque la prova superba di una convincente, vibrante e appassionata Elle Fanning, in conflitto con la severa madre, delusa dall’adorato padre, tradita dalla sua migliore amica. Per lei, costretta dagli eventi, al pari della madre, a crescere troppo in fretta si realizza quanto profetizzatole dall’amico Mark: “Sarai una donna abbastanza presto.”, con in più la triste consapevolezza che “la felicità non è un’opzione.”
Voto: 6
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