Regia di Marco Risi vedi scheda film
Manca da talmente tanto tempo il cinema noir nei nostri lidi che basta poco per risvegliare il sentimentalismo cinefilo, nella fattispecie il film di Marco Risi è tutt’altro che privo di difetti, ma è anche girato con passione e senza la paura di doversi scontrare con i (pre)giudizi altrui che spesso porta gli autori a non osare quando il genere richiede necessariamente il rischio.
L’investigatore Corso (Luca Argentero) è ingaggiato da Michelle (Eva Herzigova) per seguire suo figlio, ma quando quest’ultimo muore in un incidente stradale finisce per rimanere risucchiato da un caso che sembra collegarsi ad un altro omicidio.
Mentre si scontra con il poliziotto Torre (Claudio Amendola) deve vedersela soprattutto con gli ambienti del malaffare che non si fanno di certo problemi ad usare le maniere forti per difendere i propri territori d’interesse.
Fresco dei (meritatissimi) riscontri ottenuti con “Fortapasc” (2009), suo film migliore dai tempi de “Il muro di gomma” (1991), sopraggiunge per Marco Risi l’incursione nel cinema noir.
Un evento gradito con aperti rimandi al cinema poliziesco italiano tipico degli anni settanta, nel quale si riconosce la Roma che tanto male ha fatto parlare di se da qualunque media immaginabile negli ultimi anni.
Un’opera tutt’altro che dotata di millimetrica precisione, ma anche caratterizzata da atmosfere che vedono parecchi set decisivi ed una gestione dell’illuminazione, fotografia suggestiva di Marco Onorato (al suo ultimo lavoro prima della prematura morte), che aiuta a caratterizzare l’aspetto estetico con confronti anche violenti (ha fatto parecchio parlare il pestaggio di un Luca Argentero letteralmente messo a nudo) e senza farsi problemi a mostrare la sporcizia (non solo) morale.
In questo quadro, i personaggi funzionano ad intermittenza, la recitazione si fa ondivaga anche se poi il cast è interessante ed in fondo è un contenitore che unisce di tutto e di più con gusto estremo; abbiamo un ruolo serio per il “belloccio” Luca Argentero (nello stesso anno de “Il cecchino”), Claudio Amendola nei panni di una sorta di antagonista che la sa lunga e che si muove lasciando dubbi aperti, il plus bonus Pippo DelBono più Eva Herzigova che non si vedeva in un film da una vita anche se forse per la parte si poteva pescare meglio, ma l’effetto straniamento è garantito ed in fondo è anche una sorta di (secondaria) cifra stilistica.
Per tutto questo si può dire che “Cha cha cha” in altri, datati, anni sarebbe stato un titolo tra i tanti, poco significativo, ma oggi come oggi risulta prima di tutto coraggioso, quasi impavido nella sua progressione che alterna umori e distante da tutto il resto, o quasi, della produzione italiana (almeno quella di punta).
Temerario.
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