Regia di Marco Risi vedi scheda film
Un bravo regista, spesso impegnato, uno che ha saputo guadagnarsi molto presto lo status di autore, abbandonando quello pesante e inevitabilmente sminuente di “figlio di…”; un cineasta che ha sempre puntato il suo sguardo sulla realtà metropolitana della gioventù dello sbando, ma pure e soprattutto sui misteri, le incongruità, il marcio ed i segreti e le assurdità del nostro Paese; un autore dicevamo, come lo è da quasi un trentennio di impegno, Marco Risi. Ed è bello e piacevole ritrovarlo in tutta la sua verve, ma impegnato in una operazione almeno apparentemente più leggera e commerciale, che in realtà nasconde neanche troppo a fondo o celatamente quel senso di malessere, quella rozzezza di fondo e quella propensione al malaffare che caratterizzano sempre di più la personalità e il modo di vivere di chi conta e determina le sorti di un paese che gli si inginocchia di fronte: temi caldi e scomodi che hanno sempre molto coinvolto il regista con le sue appassionate e incisive opere precedenti.
Da un banale e routinario incarico su commissione, quello di sorvegliare il figlio viziato e un po’ scalmanato di una attrice avvenente e piuttosto nota tra l’alta società romana, con la quale tra l’altro l’uomo aveva intrattenuto una appassionata relazione diverso tempo prima, l’ex poliziotto Corso (un Luca Argentero sempre più maturo ed incisivo) si trova invischiato in un losco affare di corruzione quando il suo giovane cliente da pedinare viene crudelmente ucciso davanti ai suoi occhi in un incidente all’uscita da una discoteca: una fatalità che pian piano si dimostra tutto fuorché accidentale, mettendo a nudo una rete di interessi e un gioco di ricatti che avrebbe portato alla luce scandali immobiliari di portata nazionale. Un intrigo all’italiana dove gli interessi loschi e irrinunciabili della casta potente e onnipresente come una piovra dalle braccia tentacolari, giustificano morti innocenti di sedicenni impertinenti e provocano sofferenze atroci di madri affrante già dapprima da sensi di colpa per una incomunicabilità che le divide dalla propria progenie come se tra loro sorgesse una barriera invalicabile anche dopo aver cercato invano ma in ogni modo di ristabilire un contatto.
Girato molto bene con un dinamismo d’altri tempi che rifugge più che può l’effettistica digitale spesso fasulla e posticcia, ambientato in una Roma notturna tenebrosa e piuttosto inedita, illuminata quel che basta da suadenti luci color seppia che conferiscono durezza e comunicano desolazione e deriva di sentimenti, l’ultimo film di Marco Risi ha un titolo ironico che si rifà ad una passione di un personaggio solo apparentemente secondario, perché si rivelerà a tutti gli effetti l’angelo custode di valore inestimabile per il nostro livido investigatore e il suo simpatico carlino a tre zampe.
Un Luca Argentero sempre più bravo dà volto e soprattutto corpo ad un personaggio che ha perso speranza nell’istituzione ormai marcia e annegata dal compromesso (vedasi le abitudini operative ben poco ortodosse del commissario Claudio Amendola). Con gran coraggio e inedito senso di sfida, il bravo attore non si tira indietro nel mostrarsi in una lunga e concitata sequenza di nudo integrale, efficace scena di lotta e percosse che ricorda (e potrebbe anche essere un omaggio) la medesima o simile situazione nello splendido film di Cronemberg “La promessa dell’assassino” con al suo posto il dinamico e altrettanto malmenato Viggo Mortensen.
Eva Herzigova da canto suo mantiene inalterata una bellezza algida e una perfezione fisica da altro pianeta, resa solo un poco più terrena e verosimile da qualche timida ruga che recentemente ha inevitabilmente iniziato ad adornare quel suo bel volto perfetto da copertina, noto da decenni in tutto il pianeta; una umanità più presente ed efficace che si dimostra il migliore alleato di una modella internazionale prestata al cinema, che trova il modo così di far a rendere più credibile e pertinente la sofferenza indicibile e senza termini di paragone che può provare una madre per la perdita del proprio figlio.
Nei panni del losco intrallazzatore, avvocato potente che come un burattinaio degno de La Piovra manovra i fili che reggono in piedi gli interessi di una intera (corrotta) nazione, l’italo-belga regista ed attore Pippo Delbono, visto recentemente a Cannes nel tenero Henry di Yolande Moreau, è davvero una maschera inquietante e decisiva per la riuscita di questo thriller teso ed avvincente.
Un “polar” italiano sceneggiato con pertinente senso del ritmo da Andrea Purgatori (che di Piovra se ne intende) e dal regista stesso, Cha cha cha potrebbe indurre a far riaffacciare sul grande schermo un genere che andrebbe invero coltivato con cura, forte di tanti romanzi di bravi scrittori noir attualmente molto significativi nel panorama letterario nazionale da cui trarre ispirazione e fondamento.
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