Regia di Elia Kazan vedi scheda film
Buon film di Elia Kazan, d'importanza storica involontaria.
Torna al suo paese natale in Virginia, Pinky, dopo essersi diplomata da infermiera al Nord. Pinky è di famiglia nera, ma ha la pelle molto chiara, tanto da potersi confondere senza problemi coi bianchi, tacendo le proprie autentiche origini. Del resto, l'attrice è Jeanne Crain! Com'è facilmente intuibile, la ragazza si sente come un corpo totalmente estraneo in questo suo ritorno a casa. Viene rifiutata dalla comunità nera, che la trova imborghesita e la addita come rinnegata; e osteggiata dai bianchi, che oltre al pregiudizio razziale, intravedono nella ragazza un mostro, un genio maligno che ha assunto le sembianze leggiadre di una donna bianca per condurli tutti alla perdizione.
Pinky non è un’opera memorabile nel senso artistico del termine, però è senz’altro un documento notevole sotto il profilo della storia del cinema. Così tanti neri, in un film degli anni ‘40 americano, a memoria non li ho mai visti né avrei mai pensato di vederli. Lo sguardo sulle baracche dei neri è vago, inquadrature fugaci e strette, quanto basta a marcare la differenza con le opulente abitazioni coloniali dei bianchi. La rabbia dei bianchi contro Pinky viene sfumata ai limiti della parodia, quando invece nella realtà avremmo quasi certamente assistito ad un linciaggio. Pinky è un melodramma che non vuole essere nient’altro, e probabilmente i tempi non erano maturi per un’opera di scoperta denuncia: dobbiamo accontentarci di piccoli dettagli funzionali alla costruzione del melò, ma significativi della segregazione in atto a quel tempo.
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