Regia di Dito Montiel vedi scheda film
Dito Montiel è prima di tutto uno scrittore, anche piuttosto efficace, ma ha tentato pure la via della musica e persino quello della moda sfilando per Calvin Klein nei suoi (e nostri di quarantenni stagionati) anni '80. Da qualche tempo Montiel si diletta con una certa assiduità alla regia, con risultati peraltro almeno interessanti. Certo dopo l'autobiografico e molto riuscito "Guida per riconoscere i tuoi santi", tratto dall'omonimo suo romanzo, e ad oggi suo film migliore, la qualità dei suoi film (che tuttavia non è mai mancata in termini assoluti) appare tuttavia scemare sempre di più; forse perché meno legata alle proprie esperienze dirette di vita, ma più a fatti di cronaca o episodi comunque al di fuori delle proprie esperienze personali.
Empire State è il suo quarto film e torna a svolgersi, come l'opera d'esordio già citata, in pieni anni '80. La vicenda della rapina rocambolesca e disorganizzata, nata quasi per gioco o per rivalsa ad una vita di ingiustizie e prevaricazioni sociali ed economiche, eseguita senza neppure troppa convinzione (almeno da parte del protagonista Chris Potamikis) ai danni di un deposito che custodisce i proventi della gestione di macchine di lusso, a cui il giovane protagonista fa da guardiano dopo essere stato rifiutato dalla polizia per un cavillo legato ad un peccato innocuo di gioventù, è ispirata ad un fatto realmente accaduto e noto per essere ancora oggi il più grosso colpo mai realizzato negli Usa. Quindici milioni di dollari la refurtiva, due ragazzi gli ideatori, un poliziotto accanito ed imperterrito sulle loro tracce, e una banda di malviventi organizzati (e ben più pericolosi delle forze dell'ordine) a star loro alle calcagna per accaparrarsi il malloppo: chi per onore di stato, dovere mansionale e senso civico, chi invece per appropriarsene ai danni degli ingenui ma lesti rapinatori.
Più che la vicenda, ormai di routine e vista mille volte, interessa lo studio delle motivazioni che hanno spinto due ragazzi provenienti dalla borgata di immigrati greci a reagire e farsi valere, per dare un senso al loro futuro altrimenti giù segnato nella medietà e nella indigenza, e dunque nella mediocrità che caratterizza le esistenze piatte e senza soddisfazione dei propri genitori umiliati e sfiniti da lavori devastanti e mal retribuiti.
Quando le buone motivazioni e l'intraprendenza non servono più per raggiungere ideali e tappe di vita ambiziose ed edificanti, utili al prossimo ed oneste e legali, ecco che nei due amici, angheriati dalle ingiustizie e dalle prepotenze di una malavita che non accenna a cessare di vessare il quartiere, nonché amareggiati da uno Stato che non li segue, ma anzi li abbandona a se stessi, matura un progetto decisamente illegale che tuttavia appare irresistibile e nemmeno così impossibile da realizzare, comunque in grado di risarcirli dalle ingiustizie subite fino a quel momento.
La vicenda assume toni sempre più rocamboleschi, ma basti sapere che le basi della vicenda sono assolutamente reali, così come il fatto che almeno metà del bottino risulta tutt'ora ufficialmente irrintracciabile, anche se il regista a questo proposito avanza un'ipotesi romanzesca piuttosto accattivante che chi vedrà il film potrà scoprire nel corso della vicenda, verso il suo epilogo.
Tra gli interpreti, più che il "fratello di Thor" Liam Hemsworth, bello, forse sin troppo (e dai tratti "vichinghi" davvero inevitabilmente troppo poco ellenici per risultare minimamente credibili) ma non certo un maestro di incisività "espressionista", più che il solito massiccio e calvo Dwayne Johnson (che comunque si impegna e risulta accettabile più che in molte altre situazioni), è l'interpretazione di un ancora poco noto e giovane Michel Angarano (italoamericano ventiseienne smilzo e un pò insignificante) a surclassare tutto e tutti. Piccolo, magro e schizzato come un giovane Al Pacino, Angarano è il nervosismo isterico fatto a persona e buona parte della riuscita di un film interessante ma non certo memorabile, la si deve a lui.
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