Regia di Dito Montiel vedi scheda film
Quarto film diretto da Dito Montiel, il primo senza la presenza in scena di Channing Tatum (che nel ruolo di protagonista non avrebbe sfigurato), Empire state conferma come le qualità mostrate dall’autore al suo esordio - Guida per riconoscere i tuoi santi - sembrino ormai lontane.
Ciò nonostante, non manca di elementi interessanti, riscontrabili soprattutto nella contestualizzazione temporale che riesce a radicarsi con facilità.
Queens, 1982. Chris (Liam Hemsworth) e Eddie (Michael Angarano) sono due grandi amici, abituati a vivere con poco e ancora lontani dall’assumersi responsabilità da adulti. Quando Chris trova lavoro come guardia privata, nota le fragilità del sistema di sicurezza dell’azienda. Dopo aver sottratto facilmente del denaro, commette l’errore di confessare tutto al suo miglior amico. Da qui a realizzare una delle più grandi rapine di sempre, il passo è breve, nonostante alcune reticenze.
Su tutta la faccenda, indaga l’agente James Ransone (Dwayne Johnson).
I titoli di testa sbucati direttamente dagli anni ’80 rendono subito chiaro il clima che Dito Montiel intende servire. Il periodo in oggetto è ricreato con successo proprio per com’è colorata la trama e per come sono presentati i personaggi e le (incredibili) vicissitudini che devono (scelgono di) affrontare.
Affonda le mani nel degrado ma anche nella vita semplice, dove basterebbe poco per avere un sorriso, presenta sogni e anche la loro fine, l’opportunità, che alletta, e l’occasione a portata di mano, non di cervello, per cambiare le cose per se stessi e i propri affetti.
D’altro canto, la razionalità è dispersa, tanto che la visione odierna fa quasi tenerezza, i criminali sono da strapazzo, così che sembra di assistere a una sagra dell’assurdo, come se fossimo al cospetto di un fratello minore di alcuni film dei Coen, ma il mondo cambia e l’ha già fatto, per fortuna o sfortuna, parecchio.
Nel dispiegare la trama, Dito Montiel trova un discreto ritmo, con un piano destinato a degenerare e un countdown non procrastinabile, attua parecchie scelte, come relegare la star Dwayne Johnson in un ruolo secondario, e trova in Michael Angarano un efficace pezzo fuori controllo.
Peccato solo che il suo film si sgonfi proprio sul più bello (la parte finale) e che manchi anche di un pizzico di convinzione, ma guardando al passato trova comunque un’incredibile storia da raccontare, districandosi con generosità e forse un eccessivo ordine.
Un delirio umano moderatamente piacevole, dove leggerezza e dramma entrano in rotta di collisione.
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