Regia di Renzo Martinelli vedi scheda film
Vienna, 1683. Le truppe di quel cattivone del Gran Visir Karà Mustafà vogliono invadere la città per arrivare a Roma, perché «l’Islam vuole il dominio del mondo». Ma ad attenderle c’è frate Marco, baluardo della cristianità uscito dal Mulino Bianco con i lineamenti di F. Murray Abraham, di nuovo in vena di interpretazioni comiche dopo lo scult Barbarossa. Martinelli piega ancora la Storia ai suoi comodi, facendo compiere miracoli al taumaturgo fraticello dal cuore d’oro, mentre dall’altra parte si stupra in allegria e si combatte al grido «tra il mio cuore e la mia fede, devo scegliere la mia fede». Che automi, questi ottomani, che quando salvano un cristiano se ne pentono e quando vengono da lui salvati lo tradiscono! Al di là delle aberrazioni storico-ideologiche (con finale a Belgrado) e di riferimenti decontestualizzati alla crisi economica («Alla fine di ogni mese, il padre dei cieli non si deve preoccupare di far quadrare i conti»), questo è il nadir del kolossal. Scenografie di cartapesta; sfondi simil-fantasy che inducono ad aspettarsi un drago, più che l’esercito musulmano; effetti speciali da Commodore 64 (a contatto con le mura, le palle di cannone scompaiono in nuvolette digitali!); ralenti e inquadrature sghembe senza un perché; vetusti flashback flou; esposizione fotografica televisiva; enfasi musicale ovunque, usata come l’aglio nei ristoranti di quart’ordine per mascherare il sapore di un piatto andato a male. «Vorresti salvarmi la vita?». «Io salverò la tua anima». Più che un frate, pare il tenente Marion Cobretti.
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