Regia di Renzo Martinelli vedi scheda film
Mamma li Martinelli.
Uno strazio indicibile.
L'avanzata scomposta, tronfia, insulsa del fiero paladino delle “tradizioni” cristiane ed europee trabocca così tanto di becerume ideologico fondamentalista e meschino da raggiungere l’ignoto (finora) sublime livello del surreale. Un’inondazione sozza, inquinante di pensieri e messaggi pericolosamente contigui al razzismo più rozzo: hai a voglia a citare (con la didascalia in apertura) Marc Bloch («l’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato») se poi ti comporti esattamente all’opposto.
Si potrebbe quindi, a ragion veduta, “controcitare” con il celeberrimo aforisma di Albert Einstein: «due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana». Si potrebbe, sì.
Questo - e molto, molto altro - è il nuovo “capolavoro” di Renzo Martinelli.
Un concentrato d’idiozia che poggia sulle portentose basi del simpatico concetto di supremazia. Di religione, di razza, di civiltà. Ma tanto, basta rivestirsi dei “sani” principi legati alla fede, alla bontà divina, per avere salva l’anima e la coscienza. Grande.
La sensazione che si prova ad assistere a cotanta fiera delle atrocità è un bizzarro miscuglio di disgusto, incredulità e compatimento.
Perdonateli perché non sanno quello che fanno e dicono. O forse, sì, lo sanno: e allora basta isolarli nella loro torre d’avariata boria e stoltezza.
Ma, mettendo da parte certe ovvie considerazioni, l’opera(zione simpatia) è ridicola anche dal punto di vista della realizzazione, oltre ogni immaginazione.
In un certo senso si tratta di un film di denuncia. Pardon: “da” denuncia (persino una semplice preposizione rifugge lo schifo). Infatti, la regia è da denuncia, la recitazione è da denuncia, il doppiaggio è da denuncia, la messa in scena è da denuncia, gli effetti speciali sono da denuncia, la sceneggiatura è così oscena (va veramente visto il film per capire: impossibile da rendere per iscritto) che pare l’immondo frutto di una jam session di geni tali che nemmeno le fantasie più malate di un bambino possono concepire (e pertanto non si può denunciare).
Va precisato, relativamente al copione, che è opera congiunta dello stesso regista (suo, naturalmente, il soggetto, l’”idea” ingegnosa) e del noto scrittore-conduttore televisivo Valerio Massimo Manfredi. Complimenti (soprattutto a quest’ultimo).
Produzione italo-polacca, a cui ha messo il suo glorioso vessillo anche Rai Cinema (nonché Il Ministero per i Beni Culturali …), 11 settembre 1683 ha ambizioni “internazionali“, a partire dalla lingua in cui è girato (inglese) e dalla presenza dell’indiscusso protagonista, F. Murray Abraham.
Questi, imperdonabile, dà volto e sostanza (intossicante) a Marco D’Aviano, una sorta di eroica figura che sta a metà tra il fanatico e il fantastico, l’illuminato e il caritatevole, la fede e la guerra “necessaria”, “santa“. Da ascoltare estasiati (cioè solo se legati a mo’ di cura Ludovico) certi suoi discorsi deliranti reazionari spacciati come Verità assolute. Verità ch’egli possiede anche in virtù del fatto che compie ripetutamente “veri” miracoli … E che gli si può mai obiettare?
Il suo antagonista - turco quasi “credibile” in mezzo a tanti turchi “ariani” (complimenti anche al casting) - è Enrico Lo Verso (definitivamente perso, bollito) che interpreta il gran visir Karà Mustafà, cattivissimo quanto rimbambito (le tattiche di guerra, neppure quelle più elementari, non sono il suo forte), che farà una brutta fine (sotto gli occhi del figlioletto e della favorita - viso ed espressione da bambola “cafonal” che pare provenire da un qualche reality o dalla politica).
Poco più di una comparsata invece Jerzy Skolimowski (che minchia ci fa qua?!?), nel ruolo del re polacco Jan Sobieski, fondamentale nella cacciata degli invasori.
E questo è quanto (una mente come quella del sottoscritto deviata da un’infausta visione) possa riferire.
Da consigliare (come alternativa alla tortura dell‘acqua).
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