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Effetti collaterali

Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film

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M Valdemar

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Effetti collaterali

di M Valdemar
4 stelle

Gli effetti collaterali di un sovradosaggio di Soderbergh (se assunto almeno una volta all’anno: decisamente troppo) variano da un principio di noia ad un terminale simpatico disinteresse, da reazioni stitiche a pulsioni di sonnolenza, dagli spostamenti progressivi del (farsi) piacere (un prodotto dalle fugaci virtù) alla pressante sensazione di aver perso del tempo e anche della memoria.
Dopotutto, si tratta di roba che scorre veloce negli intestini visivi senza lasciare residui significativi.
Insomma. evacua che è una bellezza.
Nel caso specifico, l’ultima fatica del prolifico affamatissimo regista americano pare una degna puntata di Law & Order, almeno per una buona, consistente parte. I toni mesti, televisivi, sono gli stessi; i meccanismi altrettanto (un sospetto facile facile, poi una virata verso obiettivi più “importanti”, con la causa che sembra abbracciare critiche al sistema - sanitario, lobbies farmaceutiche in primis - e alla società); e le aule giudiziarie fungono da ideale collante.
Ciò finché non emerge la figura hitchcockiana del protagonista maschile, psichiatra che tiene famiglia e mutuo (Jude Law), che, una volta scoperti gli intrallazzi e vistosi crollare il castello di certezze proprie, s’industria genialmente per sbrogliare l’intreccio hitchcockiano, discolparsi e tornare a casa e al lavoro.
Si sarà compreso: è un thriller che gioca con lo spettatore, al quale chiede di accettare l’elaborazione di un piano così cervellotico dalla fattibilità affatto certa e che prevede troppi aggiustamenti della fortuna, di soprassedere su molte falle del copione nonché di sorvolare ingenuamente sull’errore grave commesso nella sequenza dell’uccisione di Channing Tatum (almeno una soddisfazione!) per mano della bella ”addormentata” Rooney Mara. La domanda, che sorge spontanea come un brufolo dopo un’abbuffata di pane con salame, nutella e lardo, è: ci è ci fa? (Soderbergh, s’intende, non Rooney). Mah.
La trama è infarcita, pretestuosamente, di molti colpi di scena, diversi momenti sono forzati, qualche cosa di perde per strada: evidentemente conta di più la meta (la risoluzione del “caso”) che come ci si arriva. Emblematico è il tentativo di conferire un aspetto vagamente autoriale, impegnato, intelligente, per mezzo di una serie di (sterili) innesti effettuati sulla tipica pianta narrativa poliziesca, ma questi impianti (che sono di natura finanziaria, psicologica e psichiatrica, farmaceutica, erotica, giudiziaria) rivelano una confusione di idee e costituiscono un "potpourri" dal sapore guastato dall’eccessiva quantità di spezie e aromi (coprenti di una minestrina da ospedale).
La struttura appare in generale televisiva, con messa in scena, fotografia e atmosfere grigie e rigide, pretenziosamente studiate per una rappresentazione che si vorrebbe collocata altrove su un piano “elevato” a guardar giù le miserie umane, con tutti i loro bagagli di sentimenti, ricatti, e aridità; ed invece è una descrizione anonima e depressa (molto più della finto-depressa Mara), colpa della conduzione operosa ed impersonale - “aspecifica” - del sovraesposto mestierante Soderbergh. In sintesi: mancano pathos e intensità, passione e partecipazione, voglia e rigore.
Ma quello che è imperdonabile è l’aver reso disinnescato le pur presenti potenzialità: quelle date, più che dalla storia in sé, dalla diabolica mistificazione ordita da due donne belle e machiavelliche, intelligenti e spietate, pronte a tutto e amanti. Catherine Zeta-Jones, occhialuta e volitiva, ha comunque un ruolo secondario anche se diventa importante con i minuti che passano, ma non è mai credibile nella parte, come fosse capitata sul set all’ultimo istante per sostituire qualcun’altra.
Più grave, naturalmente, il “lavoro” svolto su Rooney Mara: lei è brava, ma è una presenza femminile che non rimane (un po’ come tutto il film), e che invece, in mano a registi più accorti, avrebbe potuto fare la differenza e divenire una dark lady potente, da ricordare.
Alla fine trionfano verità, giustizia e l’uomo (un Jude Law svagato seppur discreto), che mette in scacco il duo diabolico, si discolpa da ogni accusa e ritrova occupazione e famiglia.
Come (tristissimo) finale quadretto familiare certifica.







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