Regia di Fisher Stevens vedi scheda film
Sebbene le sviste di scrittura non si contino, l'alchimia tra gli attempati ma svegli mostri sacri si rivela sufficiente a intrattenere.
Debuttare alla regia dirigendo due pezzi da novanta del calibro di Christopher Walken e Al Pacino non è da tutti. Ci riesce Fisher Stevens, interprete di film e di serie TV pressoché sconosciuto, qui esecutore di un copione di Noah Haidle che non dice niente, in fin dei conti, che non si sia mai sentito prima, ma lo dice con verve ed elastica nonchalance. Quello dell'anziano che fronteggia le inquietudini portate dall'imminenza della dipartita è un cliché rifritto, che Uomini di parola intende rinfrescare costruendovi attorno un contesto gangsteristico (un killer in pensione deve uccidere il suo migliore amico appena uscito di galera su costrizione di un potente boss), ma iniettandogli anche apprezzabili umori da commedia svagata (è soprattutto il gagliardo Pacino a darci dentro con irruente battute goliardiche, mentre il più riflessivo Walken lo scruta con affettuosa tranquillità). Sebbene le sviste di scrittura non si contino (in una notte ne succedono davvero troppe, peraltro non sempre di verosimili), l'alchimia tra gli attempati ma svegli mostri sacri (cui si aggrega, per un breve lasso di film, Alan Arkin) si rivela sufficiente a intrattenere per l'ora e mezza del minutaggio. Però l'inquadratura dal bagagliaio e la dinamica sovreccitata della sparatoria in chiusura sono sgraffignati al cinema di Quentin Tarantino. L'affabilità della cameriera Addison Timlin è ammaliatrice.
Ricca la colonna sonora di Lyle Workman, con un pezzo inedito di Jon Bon Jovi.
Film DISCRETO (6) — Bollino ROSSO
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