Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Quello che la yakuza non è più. Un’organizzazione di uomini d’onore. Un esercito di veri soldati. Una famiglia di fratelli con un unico padre. Kitano ama cavalcare il declino, trasformandolo in una dura storia personale. L’eroe è un essere marginale, intorno al quale il mondo crolla, mentre lui, cinicamente, ne accelera la fine con un lungimirante senso della tragedia storica. Otomo torna in scena, dopo gli anni passati in carcere, per partecipare da guerriero solitario ad una battaglia sporca, in cui il tradimento è un’arma di affermazione personale e di distruzione di massa. Solo in mano a lui, il doppiogioco è uno strumento per fare giustizia e pareggiare i conti. La strategia della vendetta è l’essenza di un film improntato alla falsità, alla lotta per il potere ridotta ad una partita a poker, dove si bluffa a volontà e la posta in palio è la sopravvivenza, fisica e politica, dei vari appartenenti ai clan. La conquista di una posizione di comando nel mondo dei traffici illegali è un bene che nessuno ha tempo di godersi veramente, dato che i nemici sono tanti ed i rapporti di forza labili ed ambigui. La connivenza tra criminali e funzionari dello stato è la fonte di manovre poco pulite e pericolose, che raggiungono lo scopo per vie traverse disseminate di cadaveri. Il dominio sul territorio non è più il traguardo comune che accende gli animi e fa fumare le pistole, poiché la principale preoccupazione è guardarsi intorno per salvare la pelle. Un universo privilegiato e protetto perde improvvisamente la sua inviolabilità. Le alleanze stipulate col sangue divengono temporanee e relative, nessuno è più affidabile, poiché tutti sono disposti a cambiare padrone o magari ad ucciderlo per prenderne il posto. La guerra si è spinta al di là del suo senso originario, per sguazzare infine nel sangue che suggella il fallimento con l’epico spettacolo della devastazione senza mezzi termini. Il personaggio di Kitano guarda, pensa ed agisce, calibrando distacco e partecipazione attiva secondo l’evoluzione della vicenda. Chi, apparentemente, si chiama fuori, si rivela infine il vero artefice della storia, che si estrania solo per poter studiare in pace come scrivere la parola fine. È il volto morale di un universo senza più regole, da cui si distingue, se non altro, per la studiata coerenza che coltiva il rancore come una ragione di vita e come un sano principio ispiratore nelle scelte fondamentali. L’uomo che soffre non cede; assiste allo scempio di ciò in cui ha sempre creduto, ma non si rassegna a cambiare, per conformarsi all’inarrestabile sfacelo. Rimane un fermo rappresentante dell’antitesi, che sconfigge la tesi mescolandosi alle sue putride file, per sconnetterne definitivamente le fibre corrotte. Il demolitore non ha pietà nel fare pulizia, mantenendo fede alla sua missione di fuoco e fiamme. Il combattente esercita la sua antica arte anche nel mezzo di un dilagante dilettantismo da faccendieri ed arrampicatori, schiavi dell’ambizione e del profitto oltre ogni limite. Il confine è stato abbondantemente superato, si spara all’impazzata per mettere le cose a posto, ma qualcuno capisce che quella, in realtà, è solo la premessa ad un suicidio generale: ognuno ha un motivo per uccidere ogni altro, così che il progetto complessivo, se messo in pratica fino in fondo, non può che concludersi con l’annientamento. Otomo lo sa, e compie il proprio dovere di angelo dell’apocalisse: quello che la morte la vede arrivare e la chiama, con calma, pronunciando per bene tutti i suoi nomi, e nei momenti giusti, seguendo il ticchettio di una bomba ad orologeria che catapulterà ogni errore nel fondo dell’inferno: una minaccia micidiale e incalzante, racchiusa nel progressivo esaurirsi dei significati importanti.
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