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Outrage Beyond

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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La recensione su Outrage Beyond

di davidestanzione
6 stelle

Uno dei più gloriosi e originali autori del cinema giapponese di tutti i tempi torna a Venezia col sequel del più classico e stantio dei suoi yakuza movie, “Outrage”, presentato a Cannes nel 2010. Già il solo fatto di aver voluto girare un secondo episodio che ampliasse la storia di quel film e che i mal pensanti prefigurano lì lì per degenerare addirittura in una malsana trilogia, è indizio di una vena creativa in estinguersi, di un sospettoso scemare dell’ispirazione, che va beyond non guardandosi troppo indietro.

Quali sono infatti i motivi reali per cui Kitano ha deciso di girare il sequel di uno dei suoi film peggiori, se non il peggiore in assoluto? Non sovviene altra spiegazione se non la volontà artisticamente comprensibile ma deteriore di limitarsi a far cassetta (che non è un’accezione esclusiva dei blockbuster, dunque), strizzando l’occhio a un pubblico consolidato, navigando a vista su acque sicure e non poco di maniera.

Un autore che rifà sé stesso in forma non poco deteriorata questo festival ce ne ha già offerto uno ed è addirittura sua maestà  Terrence Malick e il suo inspiegabile “To the Wonder”: Kitano non compie di sicuro una mossa altrettanto imbarazzante nella riuscita effettiva, ma si limita comunque a girare la copia stanca di quelli che furono i suoi eccezionali stilemi, risalenti ormai, nell'ambito del film in oggetto, a una ventina di anni fa.

“Outrage beyond” è infatti il bignamino in postilla di ciò che Beat Takeshi fu e della gloria filmica che toccò, un gangster movie nipponico che di superiore rispetto al primo, ancor più bolso e soprattutto sfiancante da guardare, ha dalla sua una compattezza ben superiore, una maggiore organicità della messa in scena e un implacabile rigore degli interni, laddove nel primo film vi erano troppe aperture e inutile trasgressioni di quest'ultimo contrassegno spaziale.

Tutti elementi che nelle intenzioni concorrebbero a imporsi come una sorta di summa sintetica del cinema di Kitano ma che finiscono soltanto (e inevitabilmente) per farci rimpiangere quei capolavori in cui l’ex comico nipponico non era altrettanto ossessionato dalla materia o dalla confezione, ma si lasciava andare deliberatamente alle sue inesauribili trovate di regia e ad ardite soluzioni mirate a far decollare impetuosamente la messa in scena.

“Outrage Beyond” è un film manco a dirlo crudo, mortuario, antielegiaco, che castra in modo programmatico ogni afflato di umanità residuale e ogni slancio poetico. Un body count in cui specie nella seconda parte l’elemento sanguinolento diventa progressivamente e in crescendo più fitto e serrato, salvandosi così nel finale in un classicissimo calcio d’angolo.

Perché “Outrage Beyond”, a essere estremamente sinceri, è anche un film esilissimo che se fosse stato diretto da chiunque altro sarebbe venuto fuori non dissimile da un aborto di tubero. Privato della classe e del mestiere di Kitano, poteva essere a dir poco dimenticabile. Non che così com’è sia memorabile, ma non si possono ignorare quelle zampate tipiche dell’autore giapponese che tutto sommato contribuiscono a renderlo per lo meno marginalmente salvabile.

Anzitutto, il discorso generazionale: Kitano affresca nella sua fosca tavolozza (ostinandoci a riprendere sue gloriose metafore pittoriche dei tempi d'oro) un mondo della yakuza in cui i grandi vecchi sono allo sbando, traditi e surclassati da una senilità incombente che li pone gli uni contro gli altri in modo sempre più viscerale, e le nuove generazioni avanzano, ostinate e pervicaci. E’ un tentativo di contestualizzazione cronologica senz’altro interessante rispetto alla contemporaneità, ma che poteva anche essere portato a termine con contorni meno palliducci.

Il vero elemento che comunque porta ancora lo spettatore smaliziato a caricarsi d'adrenalina in qualche momento e ad urlare l'immortale “Beat!” in qualche punto è il consueto carisma concentrico che Kitano si ritaglia in una serie di momenti estremamente ironici, strizzando ancora una volta l’occhio a sé stesso.
“Outrage beyond”, in fondo, è un piccolo film mausoleo eretto intorno alla figura multiforme del suo regista ed interprete, un auto-omaggiarsi costante in cui lo stesso Kitano si limita a cimentarsi in maniera autocompiaciuta in ciò in cui è il numero uno indiscusso.
Tanto che alla fine il nostro sembra il secchione che per una volta si è divertito a prendere un brutto voto di proposito, a provare l’ebbrezza di cosa significhi stare dalla parte dei mediocri e degli svogliati.
Può sembrare una giustificazione pretestuosa, ma anzitutto non è una giustificazione perché comunque non mira ad assolvere un film che è e resta bruttino, e in secondo luogo è facilmente legittimabile se un minimo si conosce l’ego peculiare e la singolare personalità artistica di Takeshi Kitano.
 
Il personaggio che Kitano interpreta in questo film infatti, Otomo, boss di una famiglia decaduta in quanto sterminata dai dai Sann, torna ad agire dopo essere stato scarcerato in modo concordato, nonostante fosse dai molti ritenuto morto. E' dunque un ruolo ritagliatosi ad hoc dal maestro e dall'alto tasso simbolico, che in modo ilare allude sotto i baffi allo stesso Kitano: ritenuto finito e bollito da molti eppure ancora al suo posto a riprodurre insistentemente gli echi del suo cinema che fu, in una messinscena di pochissimi slanci reali, slide di chitarra a far rompare le scene topiche e degli interni cupi a farsi ben presto gelida maniera. Lo chiamano campione, va dicendo a un interlocutore: "La tua faccia è segnata più della mia pancia", uccide impietosamente un nemico con uno scaricatore di palline da baseball. 

Abbiamo persino, verso il finale, una scena magistrale con l'omicidio davanti a una sorta di slot machine filmato con l'audio imploso e in aura di pura metafisica, infranta solo a morte compiuta.
Puri slanci del Kitano efferato, echi lontanissimi di un cinema che è ormai finito ma la cui gloria ci viene costantemente ricordata da queste pietre tombali assai modeste ma in fondo in fondo guardabili, con un misto di affetto e tenero riecheggiamento.

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