Regia di Steven Knight vedi scheda film
Tra i nomi da appuntarsi nell’agenda c’è quello di Steven Knight. Già brillante sceneggiatore (La promessa dell’assassino, per dare un’idea) e regista di quel Locke che ha ricevuto più di un plauso nel Fuori concorso di Venezia 70, assesta un secondo colpo alla regia con questo intreccio umano e urbano sulla via della redenzione. Quella che potrebbe essere un’ordinaria storia di peccato e riscatto (im)possibile, scandita dai passaggi obbligati della narrazione antropocentrica standard a matrice gangster (il traumatizzato ex militare Joey diventa homeless e poi gorilla di un boss, prima di cercare salvezza in principi cattolici a base di giustizia troppo radicali per appartenere al Nuovo Testamento), nelle sue mani diventa un dialogo aperto tra ragione e fede, mediato da una suora che usa Dio «come scusa per evitare di guardare me stessa». Come in Locke, Knight lavora bene sui dispositivi - dalle flycam di controllo istituzionale ai circuiti chiusi del labirinto metropolitano - ma anche sulle singole inquadrature e suoi movimenti di macchina, il cui insieme consente di costruire uno sguardo notturno e traslucido su Londra, contrappunto tentacolare di Joey con i suoi raccordi autostradali spersonalizzanti e i suoi vicoli irrorati dello stesso sangue che macchia le mani di un personaggio in bilico. Jason Statham ottiene il ruolo della svolta in sottorecitazione, lavorando su piste di sceneggiatura multiple che ne portano a galla una poliedricità di registro inedita. Merito di Knight. Tenetelo d’occhio.
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