Regia di Steven Knight vedi scheda film
Una delle caratteristiche del cinema di genere è quella di riuscire a spiegarsi da solo, facendo leva sull'evidenza dei fatti e sull'esemplarità dei personaggi. Da questo punto di vista "Redemption" arrivato senza clamore sugli schermi italiani rischia di confondersi con certi prodotti di routine fatti su misura per un pubblico che ama divertirsi senza porsi troppe domande. Il suo biglietto da visita sono infatti la faccia ed il corpo di Jason Statham, attore che ha trasformato le premesse di una carriera all'insegna dell'intrattenimento e dell'intelligenza ("Lock & Stock-Pazzi scatenati", 1988 ) in una serie di prestazioni muscolari e monolitiche per action movie di secondo piano. A rafforzare la sensazione di un cinema usa e getta la presenza di un personaggio, Joey ex militare delle forze speciali, abituato a ragionare in termini di reattività fisica e prontezza operativa. Qualità che ad un certo punto la trama mette a disposizione di una triade cinese potente e spietata, di cui attraverso un escalation di violenza e sensi di colpa l'uomo diventa una sorta di braccio armato. In realtà pur non perdendo di vista le dinamiche di una spettacolarità che consente al pubblico di parteggiare per una parte a discapito dell'altra, sottovalutando in taluni casi azioni anche improbe da parte del proprio beniamino (le estorsioni a cui Joey da man forte non si fermano davanti a nulla e nessuno) "Redemption" si costruisce le sue differenze, e quindi la distanza dai modelli più retrivi del genere, facendo passare la redenzione del titolo attraverso l'amicizia particolare che si stabilisce tra il laconico protagonista e Cristina, la suora che sfama i barboni di un quartiere londinese. Una scelta che consente al regista di spostare il baricentro della storia da una scontata esibizione di potenza (in questo caso la parte meno interessante del film) all'introspezione di due anime ferite che finiscono per riconoscersi nel comune destino di outsiders dell'esistenza. A dargli vita dietro la macchina da presa è nientemeno che Steven Knight, un nome conosciuto tra gli appassionati per aver firmato le sceneggiature di lungometraggi come "Piccoli affari sporchi" (2002) di Stephen Frears e soprattutto de "La promessa dell'assassino" (2007) di David Cronenberg, e poi in veste di regista per essere stato l'autore sorpresa dell'ultimo festival di Venezia con "Locke" opera seconda interpretata da Tom Hardy.
Ed è proprio alle rimembranze del secondo dei film appena menzionati che Knight si affida per assicurarsi il risultato: dal mancato melting pot della capitale inglese diventata territorio di conquista dei nuovi arrivati (la mafia dell'est è sostituita da quella orientale) all'incontro tra "la bella e la bestia" trasposto in una coppia improbabile eppure possibile (Joey e Cristina sono la fotocopia di Nikolai ed Anna del film di Cronenberg), dall'attenzione per l'ambiente metropolitano visto come habitat virulento che contaggia gli uomini, alla questione morale che sta al centro di entrambi i film, e che secondo Knight coincide con la visione di un mondo dove il bene non è mai assoluto ma anzi si confonde spesso con il male. Anche in "Redemption" infatti i gesti di solidarietà sono spesso viziati da azioni illecite ed ambigue come quelle che consentono a Joey di trovare i soldi per sovvenzionare la carità di Cristina, o permettere alla ex moglie ed alla figlia di ricevere i mezzi per una vita dignitosa. Ma è proprio dal confronto con "La promessa dell'assassino" che emergono i limiti di un film solido ma quasi timoroso di dar seguito alle conseguenze che scuotono le esistenze dei personaggi. Lasciando la morte fuori campo o rendendola con soluzioni visive di didascalica semplicità - ci riferiamo per esempio ai flashback della guerra in Afghanistan che testimoniano i motivi della diserzione che costringe il protagonista a nascondersi assumendo una falsa indentità - Knight al contrario di Cronenberg preferisce non aprire le porte dell'inferno, arrestandosi sulla soglia di una trasgressione - quella che permetterà a Joey e Cristina di dimenticarsi per un attimo di se stessi - che rinuncia ai sussulti della carne a favore di una rappresentazione equilibrata ma poco coraggiosa nel rendere conto delle idee che il film mette sul piatto. A suo favore c'è invece il merito di aver emancipato Jason Stathman dal ruolo di duro a tutti i costi, presentandocelo con le sfumature ed i colori di un'umanità tormentata ed afflitta. Un impresa non da poco per un film che tra pregi e difetti rappresenta il prezzo da pagare ad un apprendistato che sembra aver portato i suoi frutti. Aspettiamo solo "Locke" per poterlo confermare.
(pubblicato su ondacinema.it)
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