Regia di Louis Leterrier vedi scheda film
Ok, il favoloso numero di illusione non è riuscito, nonostante le premesse (e le promesse) del classico battage promozionale: Now You See Me è una m(od)esta sciocchezzuola.
Imbellettato come i dettami della buona tecnica hollywoodiana comandano, ha in realtà la stessa (in)consistenza e la stessa patina chic glamour di una puntata di Ocean’s Eleven ma con meno appeal e capacità di farsi “evento”.
In più ci sono quelle che il personaggio interpretato da Mark Ruffalo definisce con ragione “scemenze di magia”. C’è tutto l’armamentario necessario: carte da gioco (“scegli una carta” .. ancora?), conigli dentro scatole che scompaiono, numeri di prestigio assortiti, gente che si libera dalle catene in una vasca d’acqua, inganni, depistaggi, e finanche le prestazioni (truffaldine ma nessuno fa una piega: è tutto vero!) di un “mentalista” che s’affaccenda a ricattare mariti traditori mentre la consorte è in trance …
Parimenti c’è l’occorrente del bravo intrattenitore creatore di (moscio e standardizzato) spettacolo, laddove nello specifico la traccia “magica” si incrocia pericolosamente (come no) con quella crime/investigativa: riuniti e telecomandati da un misterioso figuro incappucciato, “i quattro cavalieri” (Eisenberg, Harrelson, Fisher e Franco) servendosi delle loro abilità prima rapinano una banca, poi svuotano il conto corrente di un assicuratore nonché loro (poco acuto) finanziatore ed infine rubano una cassaforte tenuta al sicuro in un magazzino sorvegliato dai federali. In tutte cotante imprese, a fare da sparring partner un malcapitato agente dell’FBI (Ruffalo) affiancato da un’enigmatica inviata dell’Interpol (Laurent). A dar loro una mano - ma anche no - un ex prestigiatore (Freeman) ora presentatore di programmi in rete nei quali smaschera i trucchi di colleghi con un oscuro passato alle spalle (subito spiattellato, e in un batter di ciglia si capisce ogni cosa …).
Le motivazioni? I simpatici guasconi, a occhi bendati, lo fanno per entrare in una società segreta (!!), “L’occhio”, lo sfigato agente dopo le prime magrissime figure ne fa una questione personale, per il puparo si tratta di pura e semplice vendetta.
Dunque, un action comedy dalla sterile resa che, nell’inscenare la fiacca tiritera da esibizioni di illusionisti (ed infatti il regista si dà un gran daffare nel vorticare con la macchina da presa sul palco dove i baldi maghetti danno prova delle loro virtù), per darsi un tono e conciliare il futile con l’utile s’adegua ai tempi sfruttando la serpeggiante rabbia contro banche e ricconi in genere. Un facile ammiccamento a certi drammi odierni (si veda pure il pistolotto sulla tragedia di New Orleans), fugace nei suoi effetti e ingannevole negli intenti (nei confronti degli spettatori, sia quelli ignari dello show sia quelli seduti in sala); insomma un mero pretesto per quella che si comprende presto essere la trama ingegnosa, studiata in ogni minimo dettaglio da tanti anni, di un individuo che agisce per banali fini vendicativi.
Di conseguenza, scemato l’interesse (ammesso che si sia mai sviluppato) per i cavalieri, a franare con fragore e incidere pesantemente sulle sorti della pellicola è la componente tipica del “giallo”: chi è il gran burattinaio? Dopo una ovvia serie di indizi e depistaggi, accatastati alla rinfusa e con nessun senso nel generare tensione, la reazione è automatica: chi se ne importa.
Tanto, il gran spiegone finale, trascinato ad oltranza ed innestato di un’improbabilissima liaison tra soggetti posti alle opposte estremità («non l’avevo previsto» confessa quel genio del puparo …), mette le cose al loro posto. Tutti contenti, meno il tizio incastrato che finisce in gattabuia.
Ecco, avvicinandosi tanto al film ci si accorge che è una perdita di tempo: l’inganno è servito, ma è una pietanza insipida e rimasticata, malgrado effetti speciali e “magici” s’affannino a mescolare le carte.
La sceneggiatura, a parte una simpatica stupidità manifesta, è alquanto imbarazzante in tutte le sue svolte; e dei personaggi in scena si sono dimenticati di imbastire un minimo di psicologia (tranne, forse, e parzialmente, quello di Ruffalo) ma anche di plausibilità, col risultato che alla loro evanescenza e piattezza corrisponde una forza uguale e contraria: quella della sana indifferenza.
La regia di routine (di Louis Leterrier), impegnata a saturare toni ed effetti nel tentativo di agghindare e “dopare” l’anonimo prodotto, fa il resto.
Strana la composizione del cast: altisonante visti i nomi coinvolti, ma nella sostanza non è stata granché felice. Jesse Eisenberg non è credibile come fascinoso capo illusionista (nonostante i “bei capelli”); Dave Franco - fratello di - è un soprammobile senza nessuna funzione (nemmeno quando “resuscita”); Isla Fisher, inserita per soddisfare le “quote rosa” si limita a sgambettare e fare gli occhioni dolci o il muso imbronciato a seconda della situazione; Woody Harrelson ovviamente è sprecato. Tra i “vecchi“, Morgan Freeman va in scioltezza (ormai è un prezzemolino che sta ovunque), è sempre un bel vedere invece il grande Michael Caine. Convincente Mark Ruffalo (meno nel finale), mentre Mèlanie Laurent meritava decisamente più spazio (e un personaggio con un qualche senso).
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