Regia di Oliver Hirschbiegel vedi scheda film
Vive un’esistenza bifronte, questo biopic sugli ultimi due anni di vita di Lady Diana Spencer. Da una parte il suo lato pubblico tra missioni di solidarietà, conferenze per sensibilizzare la nazione e confessioni sulla BBC. Dall’altra quello privato, segreto, nascosto nella struggente storia d’amore con il cardiochirurgo pakistano Hasnat Khan. Hirschbiegel lavora bene sul primo versante, restituendo resoconti fedeli in immagini di potente impatto, che hanno nel corpo di Naomi Watts (mimetica, seppur fisicamente lontana da Lady D) il significante unico e complesso al quale associare le multiformi sfaccettature della personalità di una «scheggia impazzita» in seno alla monarchia. La regia impagina di fino inquadrature mai banali, con un occhio filologico ai giornali dell’epoca (nell’abbigliamento, nelle acconciature, nelle singole pose dell’attrice) e uno ai dispositivi multipli (schermi televisivi, teleobiettivi di paparazzi, telecamere sui set tv, circuiti chiusi di sorveglianza nell’ascensore dell’Hôtel Ritz di Parigi) atti a restituire la Diana istituzionalizzata. Un buon lavoro, se non fosse per la conduzione del versante intimo che, a conti fatti, costituisce il fulcro dell’opera per minutaggio e rilevanza. Qui la regia si appiattisce su standard televisivi, la sceneggiatura si sfilaccia e le interpretazioni di Watts e del pacioso Andrews corrispondono a un cambio di registro che vira su versanti soapoperistici, con coazioni a ripetere di tenerezze e drammi amorosi. Per la prima volta portata su grande schermo, Lady D avrebbe forse meritato di meglio.
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