Regia di Peter Yates vedi scheda film
La pietra che scotta è un preziosissimo diamante custodito in un museo di Brooklyn che l'ambasciatore di una nazione africana, a cui era stato trafugato in epoca coloniale, rivuole per il suo popolo e, per impadronirsene, ne commissiona il furto ad una banda di ladri. La pietra che scotta viene realizzato nello stesso anno di Getaway, che come questo inizia con un rapinatore che esce di prigione, come questo racconta una nuova, disperata impresa criminale del suo protagonista (lì il biondo Steve McQueen e qui il biondo Robert Redford) e come questo ha un co-protagonista a cui lo script (lì firmato da Walter Hill da un romanzo di Jim Thompson, qui da William Goldman dal romanzo Gli ineffabili cinque del Donald E. Westlake che, oltre che arguto giallista, si guadagnò una nomination all'Oscar per la sceneggiatura di Rischiose abitudini, tratto, guarda la coincidenza, proprio da Jim Thompson) affida il compito di lasciar virare il film nel grottesco e nel comico (lì Al Lettieri, qui George Segal): solo che lì c'era Sam Peckinpah a scolpire il suo scintillante canto del cigno dell'action movie, qui c'è soltanto il solido mestiere del poliedrico Peter Yates ad infiocchettare la confezione smaltata delle produzioni d'alto bordo. Non possiede neanche la grezza vitalità della coeva blaxploitation, da cui però pesca i ritmi trascinanti di Quincy Jones (che firma una magnifica e, purtroppo, poco strombazzata colonna sonora, assolutamente da riscoprire, affidata all'esecuzione di una band stratosferica capeggiata dal leggendario sassofonista Gerry Mulligan), oltre al Moses Gunn di Shaft il detective, preferendo eleggere l'ironia a cifra stilistica dominante e finendo per smarrire spesso la tensione dell'azione nelle movenze più buffonesche della commedia: come il romanzo ispiratore, si dirà, ma disperdendone l'approccio umoristico in una traduzione eccessivamente macchiettistica. Yates, comunque, si affida ai dialoghi scoppiettanti dello script e governa sapientemente i meccanismi della suspense, riuscendo a tratteggiare, anche nei momenti in cui la tensione drammaturgica scarta verso territori più sgangherati, alcune riuscitissime e spassose sequenze (dal furto della pietra a quella, esilarante, in cui Robert Redford e Paul Sand, il suo compare dinamitardo, sperimentano, mentre pescano in un laghetto, l'intensità delle esplosioni che devono ricreare per il colpo, fino all'irresistibile gag dell'elicottero, con il pilota Ron Leibman che sbaglia il grattacielo su cui atterrare), senza mai prendersi eccessivamente sul serio e giungendo a tirare le fila di questa stralunata e sfrenata danza di eroi incapaci e sfortunati con un pirotecnico crescendo di tensione. Merito, naturalmente, da ascrivere anche all'affiatato cast d'interpreti, dagli scalcinati protagonisti (da un Redford sempre incisivo ad uno spiritosissimo George Segal, fino ai compari Ron Leibman e Paul Sand e al Moses Gunn che finanzia il colpo) allo straripante Zero Mostel e alla spassosa Charlotte Rae (è la moglie di Leibman, inebriata dal rumore dei motori), e all'impeccabile confezione spettacolare che sorregge il film, dalla fotografia dell'esordiente Edward E. Brown al montaggio (nomination all'Oscar) curato da Fred W. Berger e dal Frank P. Keller di Bullitt. "Ti avevo detto di non grattarmi i piedi"...
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