Regia di Robert Stromberg vedi scheda film
Da che mondo è mondo, ogni storia ha il suo protagonista buono ed il suo antagonista cattivo; dal loro conflitto lo spettatore (o il lettore o chi per loro) trae le emozioni necessarie, affinché l’opera appassioni. Tuttavia, negli ultimi tempi si è assistito sempre più spesso allo straniamento di questa atavica dicotomia, forse l’ultimo grande baluardo che accomuna quasi tutte le storie dalla notte dei tempi. E “Maleficent” probabilmente ne è uno degli esempi più limpidi. Non si discute la bontà della confezione tecnica (i costumi, le scenografie, il trucco, ma anche e soprattutto la fotografia sono di livello molto alto). Quello che si fa fatica a digerire è la scrittura, ossia il concetto di “storia” portato avanti dagli sceneggiatori. Di base, questo “Maleficent” è uno spin-off in chiave blockbuster de “La bella addormentata nel bosco”, vale a dire la storia di Perrault considerata dal punto di vista della cattiva. Che cattiva non è! Angelina Jolie, vera, forse unica ragione per cui molti si sono presi la briga di varcare la soglia della sala cinematografica (d’altronde la propaganda ha battuto quasi esclusivamente sull’appeal dell’attrice statunitense), interpreta la strega cattiva della citata fiaba, che, scopriamo, in origine era buona, addirittura una fata; le vicende della vita l’hanno portata a diventare cattiva, mossa da una forza di vendetta nei confronti di re Stefano, l’uomo che le rubò il cuore e che poi l’ha abbandonata per dedicarsi alle più nefande bassezze umane (tra cui spicca un’incontrollabile sete di potere). Quando il re diviene padre della bella Aurora, il sentimento di vendetta spinge Malefica a perpetrare nei confronti della neonata la famosa maledizione del fuso…
Ecco, “fino a qui tutto bene”, diceva qualcuno. La storia, inventata dagli sceneggiatori per dar corpo al personaggio della Jolie, prevede un arzigogolato andamento, per cui Malefica si affeziona alla ragazza (intanto affidata alle solite fatine, sciocchine e solo negli intenti degli autori anche divertenti) al punto da provare a spezzare l’incantesimo da lei stessa pronunciato, non riuscendoci però, a causa di una oscura (nel senso letterale del termine) forza negativa. L’aggettivo non è usato a caso, dato che né la sceneggiatura, né i protagonisti lasciano intendere cosa ci sia dietro: ad un certo punto la cattiva diviene buona, la ragazza è segregata (nel senso di protetta), un esercito la protegge, il padre, intanto impazzito per la bramosia di vendetta, darebbe la vita per la ragazza, eppure… il film continua a mandare messaggi di pericolo, di nefasti presagi all’orizzonte. Molti spettatori al cinema si consultano per capire dove possa essere il pericolo; quasi vorrebbero avvertire i personaggi del fatto che basterebbe un minimo di comunicazione tra la presunta cattiva diventata buona e l’integerrimo genitore intanto ammattitosi per dire “state calmi, è tutto sotto controllo…!”. Eppure chi conosce la storia sa che la ragazza si pungerà; ed infatti ciò avviene, anche se attraverso un andamento poco chiaro, per non dire pretestuoso. Il pathos c’è, ma non avrebbe, stando così le cose, motivo di esistere. Intanto buona parte del pubblico si annoia a guardare la strega che liscia il pelo alla sua adepta senza che accada nulla attorno per una buona mezz’ora... Qualcosa si muove nel finale, quando tutto precipita verso un inevitabile (sempre negli intenti degli sceneggiatori) cruento duello decisivo tra Malefica e Stefano, che poteva essere verosimilmente scongiurato davanti ad una birretta, in uno qualsiasi dei “peggiori bar della Brughiera”.
Scherzi a parte, il film invoglia ad andare al cinema fondamentalmente per tre motivi: la sua protagonista, il motivo musicale firmato da Lana del Rey e la componente dark dell’operazione. Se si esclude quest’ultima, coadiuvata da una fotografia di livello, per il resto ben presto si capisce che gli specchietti per le allodole (o nella fattispecie per gli allocchi) hanno funzionato bene e a restare, oltre all’incazzatura dello spettatore, è solo fuffa. Grande delusione.
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