Regia di Robert Stromberg vedi scheda film
Con Maleficent, la Disney prosegue l’opera di demitizzazione del proprio passato: la rilettura live action dei suoi capolavori animati. Confortata dal box office, procede come altri sulla strada della rivisitazione, senza timore di sovvertire codici e tradizioni. Dopo Alice in Wonderland e prima di Cinderella, si dedica dunque al film più prezioso della sua collezione, una vera e propria opera d’arte prodotta nel 1959 dopo un decennio di studi e preparazione. La bella addormentata nel bosco vanta un’estetica ispirata a quella medievale e la più grandiosa incarnazione del Male mai creata dalla Disney, la strega-demone Malefica. Il reboot in live action lo stravolge senza problemi, sovrapponendogli una curiosa morale femminista: gli uomini, traditori o inutili, tarpano (letteralmente) le ali alle donne, che devono allearsi e vivere felici e contente senza di loro. Con gli zigomi scolpiti dal bel make up di Rick Baker, Jolie/Malefica - ironia di un nome - diventa cattiva per via di un tradimento (dietrologia già applicata alla Matrigna nella serie disneyana C’era una volta), re Stefano è vile e folle, le tre fatine sono inutili pasticcione e il principe Filippo un giovane insulso. Che il vero amore non esiste, doveva essere proprio la Disney a dichiararlo? Sono operazioni come queste a farci rimpiangere l’antica magia di fiabe in cui i cattivi non avevano alcun bisogno di giustificarsi.
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