Regia di Mauro Borrelli vedi scheda film
Film della smemoratezza. Di una buona idea che l’autore si dimentica di sviluppare. Di un genere, l’horror, a cui la sceneggiatura inizialmente si ispira per poi lasciarsi distrarre, deviando verso digressioni di imprecisata natura. Una bara del quindicesimo secolo contiene un complesso ingranaggio, in grado di indurre una sensazione di premorte, con tanto di esperienze extracorporali. Un giovane dipendente di una ditta di pulizie la scopre, per caso, in una cantina, e decide di portarsela a casa, per poi condividere quel tesoro con i suoi due amici. La tentazione di mettere in funzione il meccanismo, per i tre protagonisti, diventerà irresistibile, non soltanto per provare l’emozione di un’avventura soprannaturale, ma anche e soprattutto per realizzare finalità di carattere strettamente pratico: muovendosi nel mondo nella forma invisibile ed immateriale del fantasma, è infatti possibile soddisfare desideri inesauditi e risolvere problemi senza sbocco. Questo è il promettente inizio di un moderno racconto del mistero, gustosamente venato di goliardia, sul quale, purtroppo, il discorso subito si inceppa. A quel punto la trama smette di inventare situazioni nuove per arrampicarsi, forzatamente, lungo le iperboliche diramazioni di quelle preesistenti. La narrazione si gonfia allora di eccessi e di paradossi sbocciati dal nulla, sfigurando il volto della realtà a beneficio di uno psicodramma allucinato che sfida la logica e le leggi fisiche senza seguire nessun particolare programma. La visione di uno spettro dall’aspetto mostruoso è l’inutile e sporadico arredo di un film nel quale il terrore è un’ipotesi sepolta dalla polvere dei secoli, mentre la tensione è sostituita dall’ansiosa ricerca di un orgasmo cerebrale che i personaggi non riescono a condividere con lo spettatore. L’invenzione di un genio rinascimentale, creatore di raffinati strumenti di tortura, si ritrova, in un lampo, a servire la causa delle vendette personali e delle misere rivalse di un paio di trentenni frustrati, con un salto temporale che spezza brutalmente l’antico fascino dell’incantesimo a sfondo demoniaco. Si sente dire che il diavolo ci abbia messo lo zampino, ma non ci è dato sapere come: il giallo, del resto, non solo non giunge ad una soddisfacente conclusione, ma nemmeno arriva a formulare le domande. L’enigma fa anch’esso parte della lista delle cose che Mauro Borrelli ha scordato di inserire in questa sua opera dalla struttura ribelle, refrattaria alla consequenzialità e a quel rigore in mancanza del quale saltano non solo la comprensibilità e la coerenza, ma anche e soprattutto l’interesse per la storia narrata. The Ghostmaker si rivela del tutto incapace di parlare degnamente di quella follia che inevitabilmente accompagna l’inebriante illusione di poter dominare il confine che separa la vita e la morte: ovvero il delirio di onnipotenza di chi crede di aver esorcizzato, in via definitiva, la madre di tutte le nostre paure.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta