Regia di Peter Weir vedi scheda film
Dispiace, e in parte anche sorprende, che questa non sia una storia vera. Infatti noi, ormai avvezzi, benché non del tutto assuefatti, ai casi di persone scomparse nel nulla, siamo inclini a pensare che l'inspiegabilità pura e la totale assenza di tracce tangibili si addicano soltanto ai misteri reali. Le inchieste televisive ci hanno abituati a cercare nei diari segreti, nelle oscure premonizioni, nelle presunte doppie vite, gli unici indizi su cui basare un'indagine che assomiglia sempre più ad una speculazione fantastica. Il romanzo di Joan Lindsay riproduce al meglio quell'atmosfera, al contempo impenetrabile e seducente, che circonda l'enigma dell'improvvisa sparizione, dell'immaginario buco nero che inghiotte, in pieno giorno, e al culmine della gioventù, dell'allegria, della bellezza, tante vite che sembravano indirizzate verso ben altra sorte. Il film asseconda splendidamente il libro nel far leva sulla nostra vena esoterica, che, come nella luminosità soffusa di un quadro impressionista, fa idealmente sfumare la radiosa malia della grazia fanciullesca nell'inquietante ombra della magia nera. La montagna scura, di origine vulcanica, che sinistramente domina il racconto, ricorda da vicino i luoghi dei sacrifici umani delle culture precolombiane, in cui la presenza della divinità prima obnubilava le menti delle vittime, e poi le induceva ad immolarsi. In questa vicenda, il nulla esercita un magnetismo ipnotico, che, senza alcuna motivazione razionale, progressivamente risucchia la realtà dell'Appleyard College. La crudele volontà di un voracissimo moloc si abbatte sulla tintinnante vivacità di un istituto femminile, su quel mondo, ancora ottocentesco, adornato di merletti, fiori e porcellane, che ha il sapore discreto e un po' stucchevole di un dolce meringato e di una gelatina alla frutta. La morte, improvvisamente, diventa una forza irresistibile, che dissolve quella patina rosata e zuccherina, per mettere a nudo la durezza della vita vera. La collocazione agreste ed isolata del collegio non lo preserva dalla longa manus del destino: una minaccia dall'origine sconosciuta che, ad un tratto, giunge in quel posto tranquillo ed esclusivo a sfogare la sua gratuita spietatezza, ed è, forse, a sua volta, solo il presagio dell'avvento di un secolo funesto, dispensatore di inimmaginabili sventure, che non risparmieranno niente e nessuno.
Picnic ad Hanging Rock è il sensibilissimo ritratto metaforico della fine di tutti sogni, che avviene sempre senza preavviso, perché la nebbia del dormiveglia è solo un fugace istante, che, per un secondo, acuisce l'illusione, prima di farla rudemente precipitare col sordo tonfo del risveglio.
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