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Diario di un ladro

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Diario di un ladro

di vermeverde
10 stelle

Robert Bresson è stato un regista che ha sempre ricercato, e ottenuto, un grande rigore di stile depurato di tutto ciò che l’autore ritiene superfluo riguardo a ciò che vuole esprimere: in questo film ha raggiunto uno dei culmini della sua arte.

La storia, raccontata dal protagonista Michel (Martin Lassalle) che legge il suo diario, è quella di un giovane che, dopo titubanze iniziali, si dedica al borseggio la cui valutazione morale gli è, almeno in apparenza, del tutto estranea e che per lui è una ribellione, una manifestazione di abilità e di autoaffermazione con cui crede di placare il suo tormento interiore e i suoi dubbi: la sua espressione è sempre corrucciata, mai sorridente o serena. Dopo diversi eventi è catturato dalla polizia e in carcere si rende conto che l’amore che prova per una ragazza, Jeanne (Marika Green) e lei per lui, è ciò che può dare senso alla sua esistenza.

L’intento del film è perfettamente precisato da Bresson nei titoli di testa: “Questo non è un film poliziesco. L’autore vuole esprimere, attraverso immagini e suoni, l’incubo di un giovane uomo spinto dalla sua debolezza al furto, per il quale non è tagliato. Solamente quest’avventura, attraverso sentieri sconosciuti, riunirà due anime che, senza di essa, non si sarebbero probabilmente mai conosciuti.” La circolarità della trama (la prima frase è anche l’ultima pronunciata, l’inizio della “carriera” di Michel è a Longchamp dove alla fine è arrestato) sottolinea il significato del tortuoso percorso compiuto verso il punto di arrivo: il superamento degli impulsi negativi del protagonista che riconosce l’importanza dell’amore. A ragione Paul Schrader considera Bresson un autore trascendentale (al pari di Ozu e Dreyer): qui la trascendenza è il conseguimento di una nuova realtà esistenziale, il raggiungimento della pace con sé stesso, con la liberazione dalle ombre del passato.

Bresson, con una regia controllatissima ma fluida, concentra l’attenzione dello spettatore su ciò che è essenziale al suo discorso, operando una frammentazione dello spazio e delle azioni, considerandoli nella loro realtà immediata che così oggettivate acquistano senso dalla loro sequenzialità; anche per questo Bresson non voleva attori professionisti che con la loro recitazione avrebbero distratto lo spettatore dall’evento narrato. Straordinarie, in tal senso, sono le riprese dei furti, in cui dominano i movimenti delle mani e gli sguardi, che appaiono quasi come un documentario antropologico sul borseggio e per la realizzazione delle quali si è avvalso della consulenza del complice di Michel (Kassagi, accreditato come “conseiller technique pour les gestes des voleurs”).

Questo film è giustamente considerato uno dei capolavori assoluti della storia del cinema.

 

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