Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Quinto film in quasi quindici anni per Bresson, che dimostra di sapersi contenere anche nella durata (settantacinque minuti appena di pellicola) e di avere ormai fatto di un cinema sobrio, asciutto, riflessivo, di personaggi e situazioni minimali la propria bandiera, il proprio 'marchio di fabbrica'. Anche se in realtà questo è puro artigianato: autore personalissimo, il regista francese prosegue infatti in Pickpocket (in Italia intitolato anche Diario di un ladro) un discorso portato avanti con costanza e grande cura per le atmosfere nei precedenti quattro lungometraggi. Come non ritrovare infatti nel protagonista di questo film (un bravissimo, laconico Martin Lasalle) i segni profondi delle turbate identità di una Conversa di Belfort, di un Condannato a morte in fuga, di un Curato di campagna (con il quale condivide l'espediente narrativo del diario e del racconto in prima persona)? L'esistenza di Michel, ladruncolo quasi per caso e per sfida nei confronti della vita, è intrisa di forzato individualismo (anche la complicità, nel senso criminale del termine, è una scelta obbligata e con i complici non c'è mai confidenza), inserita suo malgrado in un percorso - o meglio, scagliata in una battaglia - più grande di lui, con il quale prova a confrontarsi, ma che ripetutamente lo vede inciampare, fino all'epilogo inevitabilmente negativo. Ma, anche nella negazione della salvezza finale, il raggio di speranza: se la Conversa, ad esempio, trovava conforto nella nascente fede di Thèrese, o il Condannato poteva infine abbracciare l'agognata libertà, ecco che Michel, pur da dietro le sbarre, può finalmente baciare l'amata Jeanne. Non è un trionfo, ma neppure una sconfitta definitiva; un briciolo di speranza (non necessariamente fede religiosa) è sempre presente nell'uomo: e questa è l'esistenza umana, filtrata attraverso gli occhi del cineasta francese. Qualche attinenza con il Raskolnikov dostoevskijano (Delitto e castigo) nell'idea di affrontare il proprio destino senza barare, andando incontro all'espiazione concreta, terrena dei propri peccati, ma il soggetto e la sceneggiatura sono di Bresson. Laceranti e spogli interni (la stanza del protagonista, in particolare) costituiscono lo scenario perfetto per dare luogo ai dubbi e alle ansie di Michel; memorabili le sequenze di borseggi, che riportano a una concezione quasi antropologica del furto, lontana anni luce dalle classiche commedie su simpatici ladruncoli. 7,5/10.
Un borseggiatore parigino affina le sue tecniche e si fa dei complici per attuare furtarelli sempre più arditi. Quando la polizia sta per acciuffarlo fugge in Italia. Ma tornerà dopo qualche tempo, per rivedere la ragazza che ama, che nel frattempo ha avuto una bambina ed è rimasta sola. Per amore di lei, il ladruncolo tornerà all'opera.
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