Regia di Robert Bresson vedi scheda film
"Questo non è un film poliziesco.
L'autore vuole esprimere, attraverso immagini e suoni, l'incubo di un giovane uomo spinto dalla sua debolezza al furto, attività illecita per la quale non è tagliato.
Solamente questa avventura, attraverso sentieri sconosciuti, riunirà due anime che, senza di essa, non si sarebbero probabilmente mai conosciute."
L'arte del furto non si improvvisa, e il solitario Michael ne è attratto al punto da desiderare più di ogni altra cosa al mondo di apprenderne i segreti e divenire un abile borseggiatore. Attività che quasi considera come un'arte, e nei confronti della quale intende specializzarsi e divenire il migliore.
Non senza, tuttavia, sentirsi in colpa, al punto da non riuscire più ad avere il coraggio di andare a trovare l'anziana madre inerme, di cui si sta prendendo cura una giovane vicina di casa impietosita, e forse anche infatuata di Michael.
I primi colpi riescono un po' grottescamente, poi qualcuno fallisce ed uno zelante ispettore di polizia si mette sulle tracce del ragazzo per pedinarlo ed incastrarlo “con le mani nel sacco”, in quanto, al primo arresto, la polizia non ha prove sufficienti per incriminarlo.
Ad un passo da un abisso che lo sta trascinando verso un destino segnato, il ragazzo troverà un appiglio insperato per la salvezza grazie alla figura di Marika, angelo terreno che con amore saprà ricondurre il nostro protagonista dannato verso un futuro di salvezza, sia materiale che di coscienza.
Robert Bresson, in questo suo quinto film che per molti rappresenta l'apice della propria arte di narratore cinematografico, dispone la narrazione in modo i fatti materiali e l'azione siano palesati con riprese molto abilmente giostrate su primi piani di mani e gesti furtivi, lasciando che tutto il travaglio emozionale, così come i sentimenti, vengano descritti dall'io narrante, ovvero la voce del protagonista Michael che commenta come fosse fuori campo, e che sostituisce il protagonista nella costruzione di un dettaglio introspettivo che diventa puntuale e coinvolgente, anche dinanzi ad un atteggiamento sempre poco meno che impassibile del cast, assoggettato ai rigori della nota tecnica di recitazione minimalista prediletta dall'autore.
Tratto ed adattato dall'opera di Dostoevskij “Delitto e castigo”, Diario di un ladro è un film pervaso di un pessimismo che, tuttavia, verso l'epilogo della vicenda, si apre ad uno sprazzo di via d'uscita, ove il sentimento, l'amore puro e disinteressato, laico ma non meno potente ed espiante, si rivelano le chiavi risolutrici per unasalvezza fino a poco prima ritenuta impossibile.
"Qualcosa illuminava il suo viso.
Oh Jeanne! ....per arrivare fino a te che strano cammino ho dovuto percorrere."
L'espiazione dopo la colpa.
Il crimine che eleva a qualcosa di assolutamente positivo e altrimenti non percepibile.
Un Bresson davvero all'apice della sua ispirazione e grandezza, in un film piccolo, piccolissimo ma nello stesso tempo immenso.
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