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The Blue Bird

Regia di Kenji Nakanishi vedi scheda film

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La recensione su The Blue Bird

di OGM
8 stelle

Murauchi è chiamato come supplente in un liceo giapponese. Deve sostituire un insegnante che è stato temporaneamente allontanato dall’istituto. Ma il suo vero compito è sanare una ferita che squarciato il cuore di quei ragazzi ed ha gravemente intaccato la professionalità degli insegnanti. È stato commesso un errore terribile, che solo per caso non ha avuto conseguenze fatali. Un allievo è stato indotto a tentare il suicidio. Una brutta storia che bisogna scordare in fretta, ora che il povero Noguchi ha cambiato scuola, come anche il professore che non aveva fatto nulla per impedire quel gesto. La riflessione collettiva, formulata sotto forma di componimento scritto, è pronta per essere archiviata, ordinatamente impaginata insieme ai ritagli di giornale riguardanti l’evento. Ma Murauchi non è il tipo che segue la strada più breve. Nemmeno quando parla, visto che è balbuziente, ed ogni frase, per lui, è un’impresa che richiede pazienza. Apre la bocca, emette una serie di suoni introduttivi, aggiusta l’intonazione e il respiro, e solo al termine di questo lungo preludio, riesce ad articolare la prima sillaba. Il suo discorso inizia molto prima del principio, indugiando sulle premesse che per lui sono la necessaria preparazione, e per gli altri sono soltanto una curiosa perdita di tempo. Anche la faccenda di Noguchi deve essere ripresa dalle origini, andando molto indietro, fino a risalire al momento in cui il fatto doveva ancora succedere, però se ne stavano creando le cause.  Murauchi vuole che il passato torni a far visita al presente, dopo essere stato frettolosamente cacciato, senza avere la possibilità di fornire le dovute spiegazioni. Il banco di Noguchi deve essere rimesso al suo posto nell’aula, e bisogna salutarlo, ogni mattina, come se il ragazzo fosse ancora lì, in mezzo ai suoi compagni. Quella presenza mancata è l’idea a cui è stato impedito di realizzarsi, come un periodo lasciato a metà, senza un’apparente ragione. Occorre riprendere fiato, e ripartire daccapo, perché quell’espressione acquisisca il suo senso compiuto.  È un esercizio che  Murauchi è abituato a praticare costantemente col linguaggio, data la difficoltà con cui pronuncia le parole. Sulle sue labbra, i significati sono lenti a maturare, e  non possono mettersi a correre. Da questo esempio si trae una lezione di saggezza, da applicare agli esami di coscienza, i quali non possono prescindere da una seria e profonda analisi delle proprie azioni, a fronte di ciò che hanno prodotto. La memoria del male commesso non può svanire, ed è bene che i suoi effetti rimangano visibili. Dimenticare è da codardi. Ed è stupido credere che ciò equivalga a superare un trauma, dando  così  prova di essere forti. Murauchi vorrebbe insegnare ad ognuno ad accettare la propria irrimediabile debolezza di essere umano e a non temere di mostrarla al mondo. Lui non ha paura di tartagliare davanti alla classe, esibendo un difetto imbarazzante, che non fa onore al suo ruolo. È la singolarità che attira l’attenzione e sfida la pretesa di una normalità stabilita artificiosamente dalle regole, come quelle iniziative che, secondo la direzione della scuola, dovrebbero ripristinare la tranquillità degli animi per via istituzionale. Non servono i temi in classe, né le “cassette dell’uccello blu”, le buche delle lettere a cui gli studenti possono affidare i loro dubbi, le loro domande, le loro preoccupazioni.  Ed inutile, perché incomprensibile ai più, è il riferimento del loro nome al titolo di un dramma dello scrittore belga Maurice Maeterlinck.  Le angosce si vivono, e si rivivono, sulla propria pelle, ed alla luce del sole. Anche procedendo con passi stentati. The Blue Bird  dipinge l’assenza e l’attesa come momenti dolorosi nel cammino senza fine che porta verso la conoscenza di se stessi e della verità della vita. Pensare un concetto e non riuscire a dirlo è come immaginare l’inesistente quando si fissa il vuoto: ciò che non è, ma potrebbe essere, è la chiave del mistero che  separa, noi e il nostro mondo,  da un’irraggiungibile perfezione.

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