Regia di Neill Blomkamp vedi scheda film
Tra i pochi ricordi lieti di Max (Matt Damon) una frase ricorre spesso, quel «non dimenticare mai da dove vieni» che in sostanza funge da morale - retorica, fiera, finanche banale - in Elysium; e che peraltro sembra essere un invito che il regista Neill Blomkamp, autore di quel “piccolo” pregiato gioiellino che è District 9, rivolge a sé stesso, consapevole della enorme portata (in termini di produzione, distribuzione, ideazione, ambizione) di questa sua seconda fatica.
Che, a conti fatti, è di “facile” valutazione.
Da un lato è decisamente apprezzabile il lavoro svolto sulla ricostruzione ambientale, di un mondo (ovvero dei mondi) in un’ipotetica epoca futura che ha visto collassare il sistema-Terra (causa il sovraffollamento, malattie e miserie, il depauperamento delle risorse), con conseguente - e tutt’altro che ipotetico … - esilio in un rifugio dorato, protetto e ipertecnologico da parte dei soliti bastardi classisti e inevitabilmente arroganti megaricconi.
L'opera è visivamente affascinante e potente, composita, strutturata con logica e ottimo senso degli spazi e delle istanze proposte dalla storia. Funzionano a dovere, e con buona dose di “credibilità” (tenuto conto della sua natura “incredibile”), le scenografie, proprio da un punto di vista “concettuale”, sia quelle riguardanti il povero pianeta ridotto letteralmente a discarica (anche e soprattutto umana) sia le articolate e linde linee che compongono l’organismo-macchina di Elysium, sorta di scheletro 2.0 che sorregge le ataviche paure e gli abietti interessi dei miliardari nei confronti degli eventuali brutti sporchi e cattivi “invasori”.
Già da quanto accennato emerge l’atro “lato”: temi e contenuti. Che non sono né costituiscono nulla che non sia già stato proposto; e nelle diverse forme di tutte le arti comunicative. Lotte di classe e di potere; condizioni delle parti avverse - con la chiusura totale e totalitaria da una parte e le ristrettezze e le ingiustizie dall’altra; il coraggio, le azioni e le doti di uomo solo che può cambiare le sorti dell’intera umanità; la riscoperta di valori andati perduti; e via di questi conosciuti e conoscibili passi.
Meccanismi pur solidi innescano la miccia di una storia che rischia a tratti di deflagrare in poco comprensibili dinamiche action e da “nerd” (tutta la faccenda dei dati immessi nell’organo cerebrale e poi trasferibili è un po‘ tirata; esagerate le “miracolose” capsule mediche) e scivolare verso derive stucchevoli (i flashback felici di Max con la compagna d’infanzia e “per sempre” Frey; fortunatamente è scongiurato il pericolo di qualche sorprendente “rivelazione” riguardo la figlia di lei). Gli schematismi elementari e l’esigua ambiguità degli opposti ruoli nonché il ricorso a metafore semplici(stiche) (la morale, ancora una, sull’amicizia, che si può trarre dalla favola dell’ippopotamo e del suricato), vanno ad irrobustire un pacchetto ben confezionato ma che al suo interno contiene elementi potenzialmente “nocivi”.
La circostanza è evidente in particolar modo nel finale, quando il susseguirsi degli accadimenti subisce una repentina incontrollata accelerazione in direzioni un po’ confusionarie e improbabili (i droidi che spariscono sul più bello; la troppa facilità con cui tre uomini mettono a fuoco e fiamme l’edificio adibito a comando operativo; l’acquisizione della cittadinanza che risolve ogni problematica), oltretutto rinunciando a un pezzo da novanta come Jodie Foster (un ministro della difesa con smanie di potere, modi hitleriani e in procinto di mettere in atto un colpo di stato) in luogo di un antagonista pazzoide decisamente meno interessante (l’agente Kruger interpretato dal fedele Sharlto Colpey).
Quindi, a farla breve, di eccessi e forzature ce ne sono, eccome.
Eppure ...
Eppure Elysium ha grinta da vendere, ritmo, tensione e un’intensità crescente (insomma, si segue ch’è una bellezza); e poi denota sincera passione nella materia e nelle sue implicazioni - sociali, politiche, culturali - da parte di Blomkamp. Ma soprattutto è un’opera che ha cuore; e quegli eccessi, quelle forzature, le ingenuità e quel finale ricolmo di speranza e così ottimistico (nonostante il - e proprio grazie al - sacrificio di Max che spalanca le porte che dividono i due mondi) non sono che i “sintomi” di tale partecipazione.
Catalogabile come fantascienza distopica, che pertanto riflette sulle (certamente non rosee) condizioni attuali narrando di possibili terribili scenari futuri, Elysium ha inoltre il merito di non voler presentare una trama pretestuosamente cervellotica e di non avanzare ardite pretese autoriali (infatti funziona molto meglio di un film presuntivamente "intellettuale" ed acclamato dalla critica come il deludente In Time di Andrew Niccol): si tratta in fondo di opera di intrattenimento intelligente con i “limiti” imposti dal grosso budget a disposizione.
Di suo il regista nonché sceneggiatore, che proprio in tale ultima veste avrebbe avuto bisogno di sostegno, condisce il film con divertito gusto per momenti splatter che impreziosiscono le discrete scene di combattimento, con una leggera strisciante dose d’ironia ed in generale con una conduzione che assicura l’immediata e costante attenzione dello spettatore.
Buoni anche perché non “oscuranti”gli effetti speciali, sicuro un montaggio dal taglio fluido, ed efficace la colonna sonora che alterna parti da musica elettronica e da classica, “pompando” il giusto.
Da giudicare più che valide le prestazioni degli attori: bravo il solido Matt Damon, credibile nei suoi progressivi cambiamenti e nella personalità, bene un caratterista di razza come William Fichtner il cui personaggio purtroppo finisce troppo presto fuori dalle scene, interessante Alice Braga (Frey) che tuttavia ha un ruolo non così incisivo e approfondito come sarebbe dovuto essere. E, su tutti, Jodie Foster: ossigenata, tostissima, fighissima, vestita Armani, dà vita e sostanza a un cattivo esemplare.
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