Regia di Neill Blomkamp vedi scheda film
Elysium è, consapevolmente, un blockbuster con coscienza. Al secondo lungometraggio, il sudafricano Blomkamp continua ad affrontare il retaggio morale del proprio paese affrontando una diversa forma di razzismo, sociale e classista, dopo quello della subordinazione e segregazione dell’alieno in Disctrict 9.
In un contesto accentuato dall’evoluzione parassitaria dell’uomo sul pianeta, a discapito delle risorse terrestri e dei suoi pari, il film è ambientato in un futuro in cui le città sono diventate megalopoli di bidonville e i ricchi sono fuggiti nel dorato altrove di una stazione spaziale in orbita geostazionaria, dotata di ogni lusso acquistabile dal denaro come in una Beverly Hills senza confini nazionali: “Elysium”. Visibile dalla superficie per maggior beffa dei terrestri residui, composti da proletari sfruttati e sacrificabili, da criminali e rimanenze belliche antropomorfe, la stazione spaziale è una terra mai promessa per l’immane massa di disagiati che, costantemente, tentano invano l’approdo attraverso contrabbandieri di umanità su mezzi destinati alla distruzione dalle forze dell’ordine orbitante. Dotati di ogni confort, le inavvicinabili abitazioni per sole élite possiedono cabine mediche capaci di rivitalizzare ogni organo e riparare qualsiasi danno donando un fisico scultoreo e perennemente sano ai “cittadini” dell’empireo, mentre i molti terrestri sono costretti a sopravvivere nell’indecenza e a combattere le malattie senza mezzi.
Max (Damon) è un orfano con passato criminale diventato operaio per necessità. Irradiato mortalmente in un incidente facilmente evitabile, vuole raggiungere la stazione per curarsi e accetta il mesto scambio di un trafficante dei armi e di uomini entrando fortunosamente in possesso del codice sorgente dell’intera Elysium. Figura cristologica predestinata, Max è animato da un istinto di sopravvivenza che si tramuta in sacrificio libertario, è partigiano involontario di una resistenza all’infinito abuso che diventa rivoluzione per accanimento della sfortuna.
Attraverso la classica successione di avversari e stratificazione degli eventi, la narrazione traduce astutamente lo schema del plot d’azione standard, innestato su un materiale già polemico, in un inno all’uguaglianza e alla difesa dei diritti dell’uomo. Si giunge quindi alla giustificazione della violenza come veicolo democratico e come adeguata e disperata risposta alla iniquità perpetrata per la sola difesa dello status quo, scudo a qualsiasi ipotesi di generale e condiviso progresso. Il film non lesina quindi in esplosioni e distruzioni di corpi e di macchine, espressione di una disperazione diffusa che trova infine rivalsa e, pertanto, giustificazione, nonché l’apprezzamento dello spettatore che vi ravvede la spettacolarizzazione della quotidianità visibile su ogni spiaggia del nostro Meridione, illusorio approdo di masse bisognose almeno di una speranza.
Ma nel calcare la predestinazione di Max come Messia del sottomondo, il film pecca in retorica, riducendo il personaggio al suo messaggio e privandolo di un’identità precisa che avrebbe potenziato di sensibilità il senso, già ben evidente, del suo contenuto polemico e politico.
Ricucendo le distanze con il suo film precedente, continuandone e amplificandone il contenuto anti-discriminatorio mascherato dall’apparenza innocua della fantascienza, Blomkamp cita Kubrick nella forma di Elysium e Wall-E per il destino del pianeta e per la soluzione della scappatoia astrale, ma sporca anche fisicamente ogni reminiscenza con la stilizzazione, che mima la presa diretta (immagini mosse e macchina in spalla addosso ai personaggi) e rende realistica l’ambientazione di una città (Los Angeles, nello specifico) bruciata dal sole e dalle tossine, ispanica e brutale, villaggio globale brulicante di immondizia dalla desolante franchezza e disperante povertà, facendone un atto d’accusa verso ogni Occidente o Settentrione, geografico o mentale.
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