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Libido

Regia di Ernesto Gastaldi, Vittorio Salerno vedi scheda film

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La recensione su Libido

di degoffro
4 stelle

Christian ritorna nella casa di famiglia accompagnato dalla moglie Helene, dall’esecutore testamentario Paul e dalla giovane e svampita compagna di lui Brigitte. 20 anni prima Christian aveva assistito all’omicidio violento di una donna da parte del padre che poi si era buttato dalla scogliera su cui sorge la dimora, senza che il suo corpo fosse mai stato ritrovato. Ora il giovane vorrebbe vendere tutto, ma Paul, che ha l’amministrazione dei suoi beni, non è d’accordo: Christian deve infatti ancora aspettare tre mesi, quando avrà compiuto 25 anni. Christian è visibilmente infastidito dalla presenza di Paul e della sua sciocca compagna Brigitte, ma fatica a sopportare anche le continue premure di Helene, preoccupata che il ritorno in quella casa maledetta possa avere influenze negative sul già fragile stato psicologico del marito. Alcuni episodi inspiegabili aumentano l’agitazione di Christian che dapprima teme sia lo spirito del padre che si aggira per quelle stanze, poi progressivamente si convince, nonostante le rassicurazioni della moglie, che Paul voglia farlo impazzire per accaparrarsi l’intera sua eredità.

 

 

Si apre con una citazione di Freud (la definizione di libido) per poi percorrere le strade convenzionali di un gotico all’italiana complottista che purtroppo però pare fatto in casa (il film è stato girato in economia, per ammissione dello stesso Gastaldi). Vorrebbe essere morboso ma è solo noioso. A parte un incipit che si sforza di essere inquietante e sinistro (un bambino assiste al brutale e sadico omicidio di una donna da parte del padre maniaco, in una strana stanza tutta a specchi) e la delirante follia di un finale ai limiti del kitsch che può anche divertire, il resto è raffazzonato, pigro e tirato via. Da un punto di vista narrativo la vicenda (ispirata a una combinazione tra “I diabolici” e “Psycho”, secondo le parole e le intenzioni di Gastaldi, ma in questo caso i risultati sono ben lontani dalle audaci ambizioni) non regala grandi sorprese né sani brividi e si perde in triti stereotipi che oggi suonano quanto meno datati (la zoppicante sceneggiatura, firmata dai due registi, parte da un soggetto di Mara Maryl, vero nome Mara Chianetta, moglie di Gastaldi, che nel film interpreta l’apparente oca giuliva Brigitte). Il reparto recitazione non brilla per convinzione (la migliore è Dominique Boschero), compreso un giovane e spaesato Giancarlo Giannini, al suo debutto (l’anno successivo sarebbe esploso con il successo dello sceneggiato Rai “David Copperfield”). La regia non sa creare quel senso di oppressione e angoscia che dovrebbe attanagliare il protagonista, sull’orlo della pazzia e terrorizzato dal ricadere nella stessa sindrome psicotica del padre a causa del trauma infantile, in un drammatico processo di identificazione. Tutto è ampiamente prevedibile e scontato, a tratti ingenuo, spesso confuso, con dialoghi ai limiti del trash e un erotismo appena accennato e parrocchiale, peraltro concentrato sulla moglie del regista. Va ammesso che il colpo di scena conclusivo non è male, ci sono un paio di intuizioni godibili, non manca qualche suggestione visiva e sono adeguate le musiche di Carlo Rustichelli, ma l’opera nel suo complesso è stiracchiata e discontinua. Con un improponibile e nefasto seguito nel 1981: “Notturno con grida”, sempre diretto dalla coppia Salerno/Gastaldi.

Voto: 5

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