Regia di Arthur Penn vedi scheda film
16° FESTA DEL CINEMA DI ROMA - RETROSPETTIVA ARTHUR PENN
"Il modo di fare la guerra di Cotenna di Bisonte e il modo di fare la guerra dei bianchi era diverso: metà dei nostri non usava neanche le armi, ma si limitavano al colpo secco, ossia toccavano il nemico con un bastone e lo umiliavano. Fu così che il popolo degli uomini puniva i vivi, e vinceva la guerra.
Non ho mai capito come gli uomini bianchi potessero essere orgogliosi di vincere in quelle condizioni".
A raccontarci la propria lunghissima epopea di vita è un ultracentenario consunto nel fisico, ma ancora loquace di favella, che con pazienza e una lucidità che non trova riscontro in un uomo che ha superato le 120 primavere. "Io sono certamente l'ultimo dei vecchi pionieri della Grande Frontiera".
Il suo nome è Jack Crabb, e, dalla sua pacata ma incalzante narrazione ne scaturisce la figura di un "ex" di molte cose.
Ex orfano sopravvissuto con la sorella ad una imboscata dei nativi pellerossa, ex pellerossa adottivo preso in affidamento da un saggio capo tribù dei Cheyenne, Cotenna di Bisonte. "Ex" riabilitato nel mondo dei bianchi dopo esser stato svezzato da una affascinante quanto fedifraga ed insaziabile giovane moglie di un reverendo; poi ex truffatore al servizio di un furbastro, poi nuovamente pellerossa, poi al servizio di un Generale Custer ottuso e greve che compie massacri atroci senza batter ciglio e per soddisfare il proprio ego senza limiti.
Il racconto del vecchio ad un attento giovane giornalista, che prende appunti con scrupolo trovandosi dinanzi una testimonianza vivente più unica che rara della tragica storia della colonizzazione d'America (nel 1970 ci trovavamo già ai limiti di un'età davvero al limite, oggi improponibile per ipotizzare un testimone oculare ancora vivente), riprende i fatti più salienti e brutali che hanno visto predominare i coloni bianchi sulle popolazioni indigene, massacrate senza pietà e senza rispetto.
Dal romanzo omonimo di Thomas Berger, anche responsabile del limpido seppur denso e concitato adattamento narrativo cinematografico, Piccolo grande uomo, che si riferisce al nome affibbiato a Crabb dai nativi a causa della sua bassa statura, permette ad Arthur Penn di far suo un altro fondamentale tassello che abbia per fulcro la violenza che alberga nell'indole umana, trasformando i suoi rappresentanti nelle peggiori belve in circolazione.
Penn non rinuncia nemmeno stavolta a momenti di sapida ironia e alla tenerezza che la vicenda drammatica ed epica si porta dietro, definendo un personaggio esemplare di mite uomo comune che si ritrova ad essere, suo malgrado, un eroe e testimone degli spesso tragici momenti cardine della nascita di una nazione.
Per Dustin Hoffman una prova eccelsa grazie alla quale iniziò sul serio la propria carriera di divo di riferimento dei decenni a seguire, quello degli attori fisicamente tutt'altro che scultorei, ma dotati di appeal e in grado, lui come De Niro e Pacino, di impersonare ogni sfaccettatura necessaria per definire al meglio il proprio personaggio.
"-Sono un uomo molto importante, più importante di te: possiedo una moglie e quattro cavalli .
-Ah! io invece ho un cavallo e quattro mogli".
Ma il film è colmo di personaggi straordinari, come il capo Cheyenne Cotenna di Bisonte, che l'attore nativo pellerossa Chief Dan George riesce a rendere epico, grazie anche a situazioni indimenticabili o a frasi memorabili come "Oggi è un buon giorno per morire".
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