Regia di Arthur Penn vedi scheda film
Un western atipico che smonta i cliché di genere, pur mantenendo una struttura di base fortemente tradizionale. Dustin Hoffman viene lanciato nell'olimpo delle star di Hollywood in gran parte per merito suo, ma senza dimenticare il forte debito verso una pellicola divenuta meritatamente un cult.
Di come Jack Crabb si trovò catapultato in un'esistenza altalenante tra i tepee dei Cheyenne e gli accampamenti dei soldati del Generale George Armstrong Custer. Arthur Penn prende il western, ne assimila e reinterpreta i registri e reinventa il modo di raccontarlo. Nel suo alternare la vita nei villaggi indiani e tra le tende dell'esercito di Custer, Penn decide subito da che parte stare, dipingendo il generale statunitense come un tronfio idiota in grado di averla vinta solo su donne e bambini. Anche gli indiani vengono ridefiniti, spogliandoli di tanti luoghi comuni e idiozie che il cinema del passato aveva reiterato, pur mantenendo un atteggiamento dissacrante, come nella scena del nonno che si reca sulla collina per morire. È un film straordinario, proprio per il modo in cui avviene la narrazione, con fatti narrati con piglio documentaristico che però spesso sfiorano il grottesco e soprattutto con un utilizzo dell'ironia davvero notevole, in alcuni momenti si ride di cuore, vedi la scena della sorella dall'aspetto mascolino che, una volta rapita dagli indiani, prima si vede offrire il calumet - come si fa col maschio più adulto, commenta serafico il protagonista - e poi, rassegnatasi a esser stuprata, si trova accigliata per tutta la notte davanti al fuoco, mentre il fratello sottolinea che "povera Carolina, non ebbe mai fortuna con gli uomini".
Bello, bello, bello.
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