Regia di Arthur Penn vedi scheda film
Se "Il laureato" lanciò Dustin Hoffman come faccia nuovissima del panorama attoriale americano, e "Un uomo da marciapiede" confermò a tutti quanto fosse bravo questo già ultratrentenne dai lineamenti non proprio da manifesto hollywoodiano, è "Piccolo grande uomo" il film con cui il divo diventò Mito e il pubblico lo consacrò come uno tra i pesi massimi dell'arte su celluloide. Saga di una comparsa della leggenda del West, l'avventura umana , forse millantata, forse semplicemente aumentata dai vaneggiamenti di un vecchio che ha passato i cento anni, di Jack Crabb, bianco vissuto tra i pellirosse, fa entrare in scena personaggi come il generale Custer e molte altre componenti dell'epica della frontiera: da un regista di vaglia come Arthur Penn, la denuncia contro i soprusi degli "americani" contro i nativi, magari non così dirompente come il finale di "Soldato blu"( anche se la sequenza della piccola indiana uccisa con il bambino in braccio è di quelle che non si dimenticano), era lecito aspettarsela, e un falso eroe come il vanaglorioso G.A.Custer, massacratore e militarmente ottuso,esce con le ossa rotte dal film .E' uno di quei film, molte volte trasmesso in tv, cui spesso gli spettatori non sanno negarsi una nuova visione: nonostante la forte drammaticità del quadro generale, non mancano tocchi ironici all'epopea di Crabb, e il talento straordinario di Hoffman lo fa interpretare credibilmente il giovane "costretto" a soddisfare anche le sorelle della sposa nello stesso teepee, e rappresentare il vetusto narratore , al tramonto dei suoi giorni.
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