Regia di Arthur Penn vedi scheda film
Uno dei pilastri del nuovo cinema americano che, a cavallo tra gli anni sessanta e i settanta (insieme a "L'uomo chiamato cavallo" di Silverstein e "Soldato blu" di Nelson), rivisitò il mito della frontiera e la figura del pellerossa, non più selvaggio assetato di whisky e di sangue, ma essere umano perseguitato in casa sua dalla tracotante cupidigia dell'uomo bianco. Rispetto all'eccellente romanzo di Thomas Berger da cui è tratto, il film di Arthur Penn introduce alcune varianti che rendono il protagonista migliore (più forte, più coraggioso, più buono), rispetto all'originale letterario. Alcune scene sono rese più buffonesche o macchiettistiche, basti pensare al personaggio di Allardyce T. Merryweather, qui ridotto al rango di ciarlatano di piazza, o al "buon giorno per morire" del vecchio Cotenna di Bisonte. Lo spirito del romanzo di Berger, però, nella sostanza, è rispettato, e il film, polemicamente meno incisivo degli esperimenti coevi che ho sopra rammentato, è spettacolare quanto basta per permetterci di visualizzare i vasti spazi descritti nel libro e per rendere credibile la volontà di guardare con occhi nuovi e affettuosi alla fine della civiltà pellerossa. In un film in cui risalta la bella fotografia di Harry Stradling Jr., si registra anche quella che è, probabilmente, la miglior prova interpretativa di Dustin Hoffman, che, attraverso questo vero e proprio tour de force, sostiene ciò che può essere definito l'esame finale per assurgere al ruolo di mostro sacro del cinema. Notevole anche il Chief Dan George che sa dare corpo e (grande) anima a Cotenna di Bisonte.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta