Regia di Paolo Zucca vedi scheda film
Un arbitro che cerca gloria sui campi più importanti del mondo, dedicandosi al culto del Regolamento e immolandosi sull’altare del Compromesso (il prestigio si vende e si compra). Una squadra sarda squinternata di terza categoria, l’Atletico Pabarile (allenata da un cieco), che ricomincia a vincere grazie a un immigrato di ritorno e sogna la vendetta contro i nemici storici del Montecrasto. Da una parte il rito del calcio consuma la sua cerimonia (funebre), nei gesti solenni, i segni della croce, la retorica del sacrificio. Dall’altra diventa veicolo, simbolo, metafora (tutto quello che volete) di odi atavici perpetuati in campo e fuori, tra crudeli sfottò e piccole e grandi umiliazioni. Paolo Zucca con L’arbitro fa il salto nel lungometraggio, partendo da un suo corto di successo (del 2009), scegliendo il bianco e nero (che è bello, fa molto cinema importante ed è in tema con l’ambientazione arcaica), affidando la parte dell’amata respingente a Geppi Cucciari e scegliendo come arbitro Stefano Accorsi, che prima indossa la maschera rigida del devoto ossessivo e poi si lascia andare a plastiche coreografie. A tratti divertente, qua e là confusionario, parecchio velleitario nell’approccio ai temi “alti” (c’è anche una faida d’altri tempi). Il suo difetto più grande è la discontinuità, di stili, toni, atmosfere. Va guardato come una collezione di episodi-cortometraggi, alcuni riusciti, altri no, senza che si riesca a capire dove vuole arrivare e perché.
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