Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Jep Gambardella fa l’arbiter elegantiarum nei fatui ambienti mondani della Roma contemporanea, e ne osserva con lucido cinismo la volgarità dal proprio attico con vista sul Colosseo. Sorrentino si sente ormai abbastanza cresciuto da tentare il colpo grosso: un remake di La dolce vita aggiornato allo sfascio morale dell’Italia postberlusconiana, dove lo squallore ha invaso ogni anfratto della società e ci si può solo rifugiare nel rimpianto di un passato del resto più mitizzato che reale. Un titolo parimenti antifrastico rispetto al contenuto, e una serie di allusioni stucchevolmente scolastiche: una nana dirige una rivista, una suora si fa iniettare il botulino, una bambina dipinge quadri alla Pollock, e via fellineggiando. Inutile rimproverare al film di essere barocco e ipertrofico, dato che ciò è coerente con le ambizioni smisurate del regista; più legittimo notare che i bersagli scelti sono troppo facili (l’intellettuale pateticamente velleitario, la progressista da salotto, il cardinale mondano) e che i simbolismi sono elementari (la giraffa che scompare, i fenicotteri che prendono il volo). Detto in una frase, il film ci mette due ore e mezza per comunicarci la scoperta dell’acqua calda; è formalmente ben realizzato, ma rimane prigioniero della propria estetica (cosa che non si poteva dire del suo inarrivabile modello). Delude anche il finale, con una procace ma anonima ragazzotta al posto dello sguardo sognante di Valeria Ciangottini.
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