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La grande bellezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su La grande bellezza

di FilmTv Rivista
8 stelle

Le feste in serie, interminabili, i freak, le citazioni frivole, la noia, lo struscio, la stronza attrice che sta scrivendo un libro, l’attore che ama Proust ma anche Ammaniti, il pazzo, il poeta, il venditore puttaniere, il vescovo papabile esorcista che parla solo di cucina, la tardona, il provinciale, l’artista concettuale senza concetto, i nobili a noleggio, le suore, le signore, la donna madre che vanta il suo impegno civile e famigliare scordando di citare l’aiuto del partito e dei domestici. «O Roma o morte!», si diceva. Ma qui sono già tutti trapassati, a partire dal turista che stramazza al suolo nella sequenza iniziale. Si danno un gran daffare per sembrare vivi, ballano, sparlano, ma in fondo lo sanno di avere una «vita devastata». Paolo Sorrentino accumula cose e persone, aneddoti e maschere, per offrirci una (sacra e profana) rappresentazione del nulla, di Roma, Anno Domini 2013. Quel niente a cui Flaubert avrebbe voluto dedicare un romanzo (nessun soggetto o contesto, solo stile) e a cui il romanziere mancato Jep Gambardella ha dedicato tutta la vita, diventando “il re dei mondani”. Lui è un virtuoso del vuoto, ma è anche l’unico davvero consapevole che la “dolce vita” romana non è neanche più amara o nostalgica o decadente, è pura vacuità. La macchina da presa di Sorrentino e Bigazzi non sembra avere pace, gira, avanza, vola, squadra, intrappola i suoi personaggi, non cerca di aggiungere o moltiplicare, ma di accompagnare, illuminare, la densità della scena, e poi scivola all’improvviso verso un qualche altrove, un mare sul soffitto, un giardino silenzioso, una statua, un pezzo di cielo. Perché Jep-Toni Servillo è anche questo, una voglia di bellezza (di beatitudine?) rimasta incompiuta, che non può più salvare (forse), specchiata al contrario nell’aspirazione ascetica di una suora-quasi-santa. Tanti attori e comparse (si fa prima a dire chi non c’è, con Verdone e la Ferilli a incarnare quel po’ di sana umanità che rimane), tanti episodi, tante citazioni (scrittura troppo densa?), Fellini ma anche Scola, albe, tramonti e fenicotteri. Sorrentino ha realizzato il suo film più ambizioso. Il “tanto” e il “troppo” sono insieme lo strumento e il senso. E comunque «il viaggio che ci è dato è interamente immaginario».

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 22 del 2013

Autore: Fabrizio Tassi

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