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La grande bellezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su La grande bellezza

di sasso67
8 stelle

Recentemente, a un dibattito televisivo, Walter Veltroni (che, fra le tante cose, è anche un critico cinematografico) ha dichiarato che si esce dalla visione di La grande bellezza con una forte sensazione di solitudine. Questa condizione è, secondo me, riscontrabile in tutti i personaggi creati da Sorrentino, dai due protagonisti di L'uomo in più al freddo "ragioniere" di Le conseguenze dell'amore, dal cravattaro di L'amico di famiglia al Divo Giulio, dal cantante in disarmo di This Must Be The Place fino a Jep Gambardella.

Su tutto il resto - e mi sembra un grande merito del film - si può discutere. Anzi, forse il maggior merito di La grande bellezza è quello di avere fatto discutere di cinema come in Italia non si faceva da tempo: e dico discutere davvero di cinema, non di una sequenza o di una tematica scabrosa o di particolare attualità. La dolce vita sì, La dolce vita no, hanno sentenziato in tantissimi che chissà se il film di Fellini l'hanno mai visto realmente per intero. Per la cronaca, io direi La dolce vita sì, nel senso che Fellini (esplicitamente omaggiato da Sorrentino alla consegna dei premi Oscar) è indubbiamente un punto di partenza, un'ispirazione da cui prendere le mosse per muovere Jep Gambardella per quella Roma che dette il titolo ad un altro celebre film felliniano, di cui questo potrebbe costituire un contraltare snobista: non si gettano più i gatti morti sul palco di poveri guitti che cercano di guadagnarsi la pagnotta, ma, casomai, si leva metaforicamente la pelle ad artisti che ammantano i propri spettacoli cervellotici dietro a fumose definizioni come "la vibrazione".

Ma il soggetto di La grande bellezza non è certo Roma ed almeno non lo è in quanto città, bensì quale figura di qualcosa di più ampio (la vita?), sorta di concentrato inestricabile di squallore cui sono intrecciati fili di bellezza che si deve avere la capacità e la fortuna di trovare. L'incontro notturno con Fanny Ardant, il ricordo di un amore giovanile perduto eppure mai estinto, la capacità di un amico di riconoscere il proprio fallimento, una fede incrollabile ed inesplicabile come quella della "santa" sono i barlumi di una grande bellezza mai afferrata realmente, ma sfiorata, prove della sua esistenza e del fatto che vale la pena continuare a cercarla.

Il film di Sorrentino contiene qualche eccesso di simbolismo che poteva essere evitato, anche se temo che il regista direbbe che la giraffa è soltanto una giraffa e i fenicotteri sulla terrazza soltanto dei fenicotteri su una terrazza, ma non si può negare all'autore il coraggio di raccontare qualcosa di talmente sfuggente da rasentare l'irraccontabile: coraggio per una volta premiato, anche con il risultato artistico, oltre che con la statuetta americana. A questo proposito, mia madre, amante del cinema classico, dei gialli nei quali alla fine tutto viene spiegato, ha visto un pezzo del film di Sorrentino e parafrasando l'amico di Benigni che, annoiandosi davanti a un film pornografico verboso e inconcludente, aveva commentato a voce alta «troppa trama!», ha concluso delusa: «troppo poca trama».

Altre critiche negative a La grande bellezza, pur ragionate e non preconcette, mi sembrano partire dal presupposto, a mio parere del tutto sbagliato e quanto meno indimostrato, che coincidano il punto di vista del protagonista e quello del regista.

Ho sentito perfino critiche all'interpretazione di Toni Servillo (in una riuscita parodia del Fantozzi alla visione della Corazzata Potëmkin, il geometra Calboni, all'uopo ridoppiato, esclama estasiato «Servillo è così misurato che mi ha commosso!»), ma vorrei sapere quale altro attore del cinema italiano di oggi avrebbe potuto interpretare con altrettanta credibilità Jep Gambardella.

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