Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
I commenti durante la visione (tramite social network) e quelli del giorno dopo:
“Ma cos’è ‘sta merda?”
“Boh, tanto rumore per nulla”
“Io lo devo capire ancora adesso”
“Il solito film italiano tutto mignotte e festini”
“Ma vogliamo veramente paragonarlo a La Vita è Bella?”
“Privo di alcun significato, incomprensibile”
“Non ci meritiamo un’Italia così”
“Bella fotografia ma il resto è uno schifo”
“Sorrentino è un pagliaccio, basti vedere chi ha ringraziato agli Oscar (riferendosi ovviamente a Maradona e tralasciando quelli più importanti)"
Temevo la messa in onda in prima serata, ancor di più su un canale in chiaro. Portata troppo ampia, rischio d’incomprensione elevato. E così è stato, perlomeno nella cerchia delle mie conoscenze.
Lungi da me entrare nello specifico dei commenti, tanto più che alcuni lasciano veramente il tempo che trovano, ma qui su FilmTv - dove anche le stroncature hanno il loro perché - ci tenevo a specificare che “La Grande Bellezza” mi è piaciuto molto. Un film imponente, barocco, ricchissimo di spunti e contenuti che appaiono e scompaiono fra una sequenza e l’altra, fra un’intuizione e un colpo di teatro. Uno script anticonvenzionale che non vuole raccontare la vita di Jep Gambardella, né tantomeno la decadenza del nostro borioso paese. Quelli sono strumenti, filtri, attraverso i quali il regista tenta di mostrarci ben altro, qualcosa che travalica il raccontino didascalico di matrice televisiva al quale siamo oramai assuefatti, qualcosa che in definitiva si traduce nella vera settima arte. Gli americani pare se ne siano accorti, possibile che tanti di noi abbiano distrattamente volto lo sguardo altrove? Sorrentino racconta e cattura la bellezza inscenando contrasti potentissimi, contrapponendo fra di loro immagini, musiche, suoni, volti, corpi, luoghi, sentimenti. È così che di fronte ai nostri occhi vediamo sfilare una Roma da sogno, bellissima e imponente in ogni suo scorcio ma abitata da una miriade di freaks egocentrici e ammorbata da una debordante dose di opulenza e superficialità. Ed è proprio fra le peggiori brutture dei suoi salotti mondani che si scorgono squarci di beltà assoluta: il coraggio di ricominciare, il conforto dell’amicizia, la sincerità istintiva dei bambini, il volersi bene, la forza trascinante della vera ispirazione, l’importanza delle radici. Sepolti da tonnellate di pattume e frivolezza, di menzogne e paradossi, di meschinità e vanità e per questo decisamente più efficaci e folgoranti che altrove. Per quanto scontato, va comunque gridato ai quattro venti che tutto quel che concerne l’impatto visivo dell’opera rasenti la pura eccellenza. I virtuosismi del girato (Sorrentino, al momento, non ha eguali in Italia), la fotografia di Bigazzi (un gusto giustamente riconosciuto a livello internazionale), la qualità ineccepibile del montaggio, le scenografie, i costumi, tutto ciò che concorre alla composizione dell’immagine ha un fascino a dir poco stordente. Stesso discorso per lo score e per la colonna sonora, tutto in costante antitesi, tutto sospeso fra becero e sublime. Ci sono ovviamente anche i difetti, “La Grande Bellezza” non è il capolavoro del suo autore, né il lavoro più sincero ed è tutto fuorché un film perfetto. Ha coraggio, ambizione e idee da vendere – basti pensare alla varietà di personaggi e situazioni messi in campo – ma il controllo del materiale non è sempre all’altezza e la durata eccessiva influisce su un paio di sbandate come ad esempio quella del funerale o dei fenicotteri sul finale. Poco male, in fin dei conti qui abbiamo sia forma che sostanza e non mancano nemmeno gli interpreti, tantissimi e tutti decisamente ispirati (vedi Verdone e Ferilli ma anche Marinelli, Herlitska, Popolizio, Buccirosso, Forte e molti altri). Servillo, da par suo, è ancora una volta protagonista memorabile e totalizzante, in grado di divorare la scena stando semplicemente in posa o sciorinando crudeltà a denti stretti come nel monologo in cui annienta Galatea Ranzi. Malizie da esportazione a parte, lui e Sorrentino hanno dato nuova linfa al cinema italiano, credo che questo sia un fatto insindacabile. Se poi è vero che alla fine è tutto un trucco, sta a noi decidere se rimanere ugualmente affascinati o cadere nel tranello dell’indignazione. Io preferisco la prima opzione, non ne voglio fare a meno.
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