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La grande bellezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su La grande bellezza

di mm40
4 stelle

Il peggior nemico di Sorrentino è Sorrentino stesso, questo film ce lo conferma. L'unico motivo per cui il regista napoletano non riesce a realizzare il suo capolavoro (ammesso che già non l'abbia fatto con Il divo, nel 2008), come fin da This must be the place (2011) si intuiva, risiede proprio nell'autocompiacimento e nella mancanza di freni che caratterizzano una messa in scena tanto spiccatamente estetizzata, voluttuosa, pretenziosa, caratteristica fondamentale e problema insorpassabile delle sue due più recenti pellicole; i centoquaranta minuti di La grande bellezza stenderebbero anche un insonne cronico e la lentezza narrativa non viene affatto compensata da una macchina da presa continuamente mossa cercando l'effetto registico, ma in realtà trovando piuttosto la labirintite dello spettatore. La fotografia del bravo Luca Bigazzi è sprecata, il talento innato di Servillo latita dietro la maschera di un personaggio mai definito in fase di scrittura; la sceneggiatura del regista e di Umberto Contarello infatti ricalca lo schema logico del precedente parto della coppia, ovverosia This must be the place: un eroe/antieroe incompreso e incomprensibile cerca una soluzione al proprio male di vivere, mentre attorno a lui si snodano le brevi e futili vicende di una serie di personaggi minori; finale agrodolce, sipario. Qui il Gambardella di Servillo aspetta un'illuminazione che da quarant'anni non si palesa; il Godot della situazione pare sopraggiungere proprio quando il nostro ritiene di potersi accontentare delle sue miserie (indicativa in tal senso è la scena in cui insulta pesantemente una collega, durante una serata); inutile chiedersi il perchè di un cambiamento tanto repentino e sconvolgente, soprattutto considerando quanto detto prima sulla mancanza di profondità psicologica del protagonista. Allo stesso modo, tornano di tanto in tanto i 'bug' nel copione già presenti nel lavoro precedente di Sorrentino; come l'autostoppista di This must be the place, qui si ripetono momenti del tutto incontestualizzabili e scene che sembrano seriamente non avere nulla a che fare con il film: Sorrentino come Lynch? No, Sorrentino al massimo si crede Lynch; ma ovviamente ne rimane lontano anni luce. Così come la distanza dal Fellini di 8 e 1/2  - prima ancora che de La dolce vita - evocato a più non posso da gente che deve aver visto un altro film, è assolutamente incolmabile, quest'opera è realmente un'altra cosa: Gambardella è un fantoccio insulso, Marcello Rubini e Guido Anselmi sono (al confronto, ma non solo) veri e propri monumenti; neppure i fenicotteri del finale hanno qualcosa a che fare con l'ideale felliniano di cinema: tutto troppo esplicito, grossolano, forzato. Anche sulle scelte di casting c'è qualcosa da obiettare: com'è possibile che fra Servillo e la Ferilli passino anagraficamente 4 anni e mezzo, ma nel film i due abbiano 23 anni di differenza? E soprattutto: che cosa c'entra la Ferilli con il cinema? Fuori ruolo anche il macchiettistico Buccirosso e un comprensibilmente spaesato Verdone; meglio riusciti invece gli inserimenti di Herlitzka, De Francovich, Cantarelli; particina anche per il redivivo Aldo Ralli, ormai lontano dal grande schermo da una quindicina di anni se si esclude la partecipazione a Il divo. La grande bellezza è come una donna troppo truccata: non è eleganza, è cafonaggine (vedasi nello specifico l'intervento a piè pari-marchetta vergognosa di Venditti): in sostanza, un bello scatolone vuoto, nel quale c'è stipato tutto quello che Sorrentino aveva da dire. 4,5/10.

Sulla trama

Lo scrittore Gambardella ha 65 anni e da 40 si occupa solo di giornalismo mondano; ogni giorno si tuffa nella 'bella vita' romana in cerca di ispirazione per un nuovo romanzo, che però mai arriva.

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