Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Quanto non si è compreso questo film, quanto è passato inoffensivo dagli occhi di italiani disattenti! E' un gran film, "La grande bellezza", perché è perfettamente costruito intorno a una ricerca, che lo rende distante sia dai più banali riferimenti alla "Dolce vita" (che invece c'entra per motivi non narrativi ma assolutamente tematici), sia dai più ovvi giudizi negativi sulla borghesia italiana. Non c'è nessun boom economico, in Italia, adesso, non c'è niente che ispiri una qualche illusione di benessere ai borghesi italiani, che hanno accanto a casa mafiosi e artisti incomprensibilmente ermetici e furfanti, ma c'è soltanto il lento dimenarsi dei fantasmi di un'Italia che non avvalora la cultura e la BELLEZZA, parola sacrosanta non scelta a caso da Sorrentino. E' questo che il grandissimo Toni Servillo cerca in tutti i modi, in questi 150 minuti che, grazie a una regia sfacciatamente felliniana di Sorrentino ci accompagna per le rovine dimenticate di Roma. La grande bellezza. Jep Gambardella fa il critico d'arte, recensisce nuove forme d'arte di donne che prendono a testate acquedotti, e non concede più spazio a riflessioni pericolose, adattandosi alla scrittura di stroncature e a party alla stregua di festini orgiastici. L'Italia si fa trasportare dalle mode e dagli istinti, la bellezza è la chirurgia estetica, la donna nuda che balla, l'arte bizzarra e ridicola. C'è molta più umiltà nell'assordante cupio dissolvi di uomini consapevoli (e non) della propria bassezza e della propria già avvenuta morte.
La bellezza cos'è? Di lei, come dice alla fine Jep, sono rimasti "sparuti e incostanti sprazzi", dev'essere meglio ricercata al fine della sua salvaguardia, e visto che chiunque scrive, e associa autori classici ad Ammanniti, visto che si trova affascinante lo sfruttamento della rabbia di una bambina che sfoga la sua rabbia in dipinti postmoderni di violento cromatismo, visto che ciascuno di noi si è dimenticato dell'innocenza della propria giovinezza, quando abbiamo avuto il nostro primo amore, alla fine rimaniamo freddi di fronte alla magia di una giraffa che scompare o al miracolo di centinaia di volatili che si appolaiano all'alba sulla nostra grande terrazza festaiola. E Jep forse se ne accorge, scriverà il suo libro, è l'unico che forse riconosce la cultura, non si lascia scoraggiare dal proprio essere fallito, e, conoscitore della propria bassezza, salverà, come ha fatto Sorrentino, il destino di noi italiani, che continuiamo a distruggere e distruggerci.
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