Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Quando Fellini arrivò in Via Veneto si guardò intorno, si fece la seconda casa a Cinecittà, si spostò pochissimo da lì, la città eterna lo legò a sè come la calamita e gli fece dire:
“Vivere a Roma per me è partecipare a questa danza della vita che mi obbliga a fare cinema.Io vivo a Roma, e poichè non sono nato qui, non desidero lasciare questa città. Vivere a Roma è fare cinema in continuazione, e non provo gioia da altra madre che non sia Roma. Questa immensa pancia placentaria è la madre profonda e nutriente che evita le nevrosi. Mi basta andare in strada per contemplare la pellicola della vita.”
(F.Fellini rispondendo a S.E.Ardanaz in “Si me preguntaran què es una pelicula, tendrìa que decir que no lo sé”, Diario 16, 24 febbraio 1983).
Da qui i suoi capolavori. E noi li guardiamo e riguardiamo, fino ad oggi,
Oggi, 2013, il nuovo Fellini (mi attengo a quanto proclamato a gran voce dal 90% della critica, ufficiale e non, non c’è uno che non lo evochi) detto Sorrentino, decide di farlo crollare per la terza volta questo Impero.
E ci riesce, meglio di Alarico e Brenno che, alleati anche con Attila, non avrebbero fatto di meglio.
Roma è dunque quella che ci propina nel film con finta nonchalance?
Se è quella merita di crollare per la terza volta.
Si fanno feste coi trenini? si sniffa coca? ci si fa la mise griffata per il funerale? il cardinale spaccia santini e ricette? la Ferilli, bontà sua, va in giro mezza nuda col vestito riciclato da San Remo ,mentre la santissima gira in sandali sporchi e sembra più rincoglionita che santa?
E allora? dov’è la novità? Cosa c’è che il neo-Federico abbia impresso sulla sua tela di così perturbante, definitivo, incontrovertibile, incancellabile, immortale?
E, soprattutto, nuovo?
Direte, ma è un dramma antico (nessuno che abbia citato Petronio, però, e dunque, ancora una volta Fellini, sarebbe stato un po’ più adatto).
Un dramma antico per una penna vecchia.
Sorrentino non racconta, non descrive, non argomenta, non espone, non cataloga.
La grande bellezza è una visione, è una proiezione millenaristica, è un vagare sbigottito e come in trance di Sorrentino in un milieu papalino, berlusconiano, alemanniano.
Roma è stata e sarà tante cose, da duemila e più anni, l’hanno messa in scena infinite volte, con amore e disamore.
Lei guarda sorniona e se la ride.
Quando il Colosseo sarà crollato pietra su pietra, da quelle terrazze arredate di vimini e piuma d’oca (un tempo la vista era dalle residenze imperiali sul Palatino vista Circo Massimo, poi subentrarono le finestre papali vista colonnato del Bernini, ora le terrazze vista Colosseo e Ara Coeli) la vista spazierà su un gran parcheggio gremito di macchine.
E sarà sempre Roma, l’unica città che non tradisce mai ex novo perché l’ha sempre fatto, fin dai tempi di Romolo e Remo.
E' nata così, ha sempre imbrogliato e scombinato le carte, mica si diventa caput mundi con uno schioccare di dita:
“Questa immensa pancia placentaria è la madre profonda e nutriente che evita le nevrosi” . Torniamo a Fellini.
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