Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
A quattro anni di distanza dal pomposo “Baaria” (2009), Giuseppe Tornatore torna in scena con un film “pieno”, con tante cose da dire (a partire dal fatto che nasce dalla summa di due suoi distinti soggetti), con uno sguardo maturo, ma anche da innamorato cronico della magia del cinema e soprattutto orientato ben al di là dei confini italiani, aspetto che si vede sotto molteplici forme.
Da sempre Virgil Oldman (Geoffrey Rush) vive solitario con le sue opere di donna e le sue aste che vive da battitore non sempre disinteressato, ma comunque stimatissimo, questo fino a quando Claire (Sylvia Hoeks) non gli affida l’incarico di valutare e poi vendere le antichità di famiglia.
Virgil è intrigato da questa donna che vive rinchiusa e non si lascia vedere da nessuno, tanto più quando scopre che è anche bellissima chiede aiuto al suo “amico” Robert (Jim Sturgess) per conquistarla.
Improvvisamente la vita di Virgil cambia completamente, si sente un altro uomo, ma le cose sono destinate a cambiare un’altra volta.
Bello ritrovare dopo qualche anno Giuseppe Tornatore di nuovo pieno di passione non fine a se stessa ma votata al cinema in maniera aperta e genuina; bello ritrovarlo con un film che non sembra nemmeno italiano (rimaniamo comunque “noi” i produttori) intriso di una visione di stampo mitteleuropea, che ama il racconto, che vive di personaggi, che non ha paura di crescere con calma.
E c’è davvero di tutto; un protagonista descritto bene, a tutto tondo (e Geoffrey Rush ha le spalle sufficientemente larghe per sorreggerlo), tra sfumature solitarie, disperate e colme di voglia di vivere, un imbroglio piccolo (le aste pilotate) ed uno ben maggiore indivenire, un senso del mistero che spazia sotto molteplici spoglie, amore ed arte.
Giuseppe Tornatore riesce a far accrescere le aspettative, sa raccontare per il piacere di farlo, perde un po’ di concisione giusto lungo il finale, quando la sua opera abbandona binari assolutamente personali per completare il percorso in maniera più tradizionale (il colpo di scena conclusivo è intuibile con un certo margine di anticipo per quanto di “scena”), ma non si perde per strada e nello sguardo, ancora una volta mutato e nuovo, del suo protagonista riesce a chiudersi degnamente.
Buona anche l’attenzione nei rapporti, da quello principale tra Virgil e Claire a quello collaterale tra lo stesso Virgil e Robert, con in mezzo un automa in fase di ricostituzione come il protagonista ed un’altra affascinante sottostoria.
Apprezzabile il cast; Geoffrey Rush si conferma cavallo di razza, tra i pochi interpreti della sua età a poter reggere così tanto peso, Jim Sturgess appare a suo agio, disinvolto e per questo quanto mai utile alla situazione, Sylvia Hoeks non è certo una bellezza banale (quindi consona ad un’opera che già di suo non lo è), mentre Donald Sutherland appare in secondo piano senza compiti arditi, ma con una sincera gigioneggeria.
Un ritorno quindi in grande stile per un regista italiano che è cittadino, e regista, del mondo, un film che conquista e che risulta apprezzabile sia dal pubblico più esigente che da quello più estemporaneo.
Inconsueto e di classe.
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