Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
Autorevole e solitario battitore d'aste di mezza età dedito al lavoro e prestigioso collezionista di ritratti femminili viene incaricato da una misteriosa ereditiera di curare l'inventario e la vendita dei preziosi reperti della villa di famiglia. Inizialmente riluttante, viene convinto dalla donna che vive reclusa in casa a causa di una grave agorafobia e che gradualmente riesce a conquistarne fiducia e sentimenti. L'autenticità della relazione e delle intenzioni della donna però sembra siano passibili di un grave problema di valutazione...
Dallo spunto certamente intrigante del soggetto (in ogni falso sembra esserci un fondo di verità e viceversa) e dalle eleganti (calligrafiche?) cadenze da 'thriller d'antiquariato' sempre inclini ad una immanente 'Sindrome di Sthendal', il buon Tornatore imbastisce lo sfarzoso set per un cast internazionale (Rush,Sutherland,Sturgess) in cui gli elementi decorativi e le suggestioni filologiche sembrano dominare la scena a scapito della linearità di una sceneggiatura che in più di un punto appare viziata dal grave pregiudizio dell'artificio e della mistificazione (come fa un esperto e sgamato professionista del settore a non sapere con chi fa affari? Come fa un ricco e facoltoso cinquantenne a non aver mai dormito con una donna? Insomma roba non da poco!). Se dai dettagli del complesso quadro della narrazione si evince l'autenticità dell'opera e la sua credibilità artistica, allora il film del regista siciliano deve essere sicuramente un 'falso d'autore' in cui la mano dell'impostore sembra aver diabolicamente architettato le sembianze di una verosimile originalità cinematografica (il classico e prevedibile meccanismo del 'pollo da spennare') smarrendo però la strada tra incoerenze logiche e incostanza psicologica dei personaggi (almeno di quelli principali spesso alle prese con le ridicole schermaglie di un capzioso avvicinamento emotivo) laddove la forza della scrittura cinematografica risiede proprio nella congruenza di questi semplici elementi. Nel suggerire poi strade alternative al classico dilemma tra l'amore per l'arte e l'arte dell'amore (più intesa come arte di governare i capricci di una femminea dissimulazione) l'autore sembra cedere alla tentazione di un elegante meccanismo cerebrale in cui il percorso di conoscenza dell'una e dell'altra sembrano intrecciarsi nel fragile gioco di una pretestuosa ambiguità, laddove le imprevedibili passioni del cuore sembrano soverchiare fatalmente quelle razionali per il bello e per l'arte (intese come accumulo di beni commerciabili). Attraversato da una vena di amara ironia e di una involontaria misoginia, il film sembra dilungarsi oltre il consentito confermando la prolissità del cinema di un autore non del tutto privo di buone qualità ed irridendo beffardamente gli spettatori, similmente al grazioso espediente dell'automa di Vaucanson, con la reiterata litania di 'Wheelie and the Chopper Bunch' : 'Te l'avevo detto io! Te l'avevo detto!'.
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