Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
Le aspettative sono alte e la prima parte del film pare mantenere le promesse: inquadrature che avvolgono, lo spettatore è catapultato nell’atmosfera della storia e si illude che lo aspetta il cinema che è convinto di trovare. Tutto perfetto, Giuseppe Tornatore è tornato ai livelli alti, mi dico, e invece la seconda parte prende un vicolo cieco.
Leggo elogi sperticati per l’ultima opera di Tornatore e rimango perplesso. Le aspettative sono alte e la prima parte del film pare mantenere le promesse: inquadrature che avvolgono, direi, più la platea che il paesaggio e i protagonisti, lo spettatore è catapultato nell’atmosfera della storia e si illude che lo aspetta il cinema che è convinto di trovare. Tutto perfetto, Giuseppe Tornatore è tornato ai livelli non dico del famoso Cinema Paradiso ma almeno a quello della Straniera, questo mi son detto. Ed invece la seconda parte prende un vicolo che pensavo non ci fosse; dopo quell’autostrada su cui stavamo viaggiando, non potevo prevedere un rallentamento della corsa così vistoso: forse il film poteva finire venti minuti prima, con la faccia attonita di un attore gigantesco (un Geoffrey Rush che vale da solo il prezzo del biglietto, ma non è una novità) davanti alle pareti del suo caveau inaccessibile. Finendo prima, il film ci avrebbe lasciati letteralmente abbandonati e sorpresi sulla poltroncina, ed invece Peppuccio ha preferito propinarci una inutile decifrazione del thriller.
Thriller? Beh, è un thriller senza corpi inanimati, senza armi, se non quelli dell’astuzia e dell’ingegno, non solo meccanico. Si tratta direi di un giallo (come si diceva una volta) più che un thriller nel senso moderno e gli ingredienti ci sono tutti. Figure di persone per bene e di personaggi loschi ma all’apparenza ordinari, c’è il tesoro, c’è la “femme” fatale da cercare – o meglio stavolta fornita – c’è anche l’ambiente sofisticato dei collezionisti d’arte: sono i componenti di un menù abbastanza ricco da poter sfornare appunto un eccellente prodotto. Invece.
Il personaggio principale della trama è Virgil Oldman che è un maturo battitore d’aste di altissimo livello e conosciuto in tutto l’ambiente internazionale, ma il suo carattere è scontroso e acido, è un maniaco igienista e più che misogino (la casa è piena di ritratti di donne) è fortemente misantropo. Basta qualche inquadratura e qualche minuto per spiegarci quale tipaccio sia, specialmente osservando i guanti che calza costantemente pur di non toccare gli oggetti, il telefono (disprezza i cellulari, ma dopo deve adeguarsi, eccome che deve adeguarsi!) e soprattutto per non avere contatto fisico con le persone. Il dolce che un cameriere gli serve a cena sembra la sintesi del suo carattere: torta di crema bisbetica e mandorle acide, sintesi perfetta di quest’uomo sempre elegantissimo, capelli tinti e guanti scuri. La sua vita (sembra Ebenezer Scrooge di “A Christmas Carol”) scorre monotona e ritmata dagli appuntamenti delle aste nelle varie città europee. Ma tanto è arcigno e spigoloso nella vita quotidiana, tanto è vivace e spiritoso durante e dopo le aste, dove conosce tanta gente facoltosa e mercanti di antiquariato, appassionati della pittura europea. Sa essere brillante, ma solo in quelle occasioni. Non toglie i guanti in alcuna occasione… tranne quando deve sfiorare le tele e stabilirne la loro autenticità; e poi in una scena avviene il miracolo, quando “riesce” ad accarezzare con la mano nuda la ragazza che lo incarica di lavorare sulla sua immensa eredità e che lo incuriosisce prima, lo smuove pian piano poi, per arrivare a fargli sciogliere il cuore. Il fatto è che, e qui è il cuore della trama, Claire (una Sylvia Hoeks da giudicare in altra occasione) è una misteriosa giovane ereditiera che stuzzica la sua curiosità, anzi la provoca, fino ad arrivare ad un rapporto di affetto protettivo da parte di Oldman che giovane non lo è più.
L’ambientazione del film è in un clima mitteleuropeo tanto caro ultimamente a Tornatore: ma attenzione, spesso ci sono sfondi che non sono i soliti tetti austriaci o tedeschi; ogni tanto compaiono palazzi più chiari e cieli più azzurri, segno di città più mediterranee e difatti leggo anche di Roma e Parma, oltre a Vienna, Trieste e Bolzano. Però l’atmosfera non è quella cupa della Straniera.
Una nota veramente stonata l’ho rilevata nel doppiaggio di Claire e nel suo relativo sonoro. La voce stentorea e poco duttile mi ha ricordato il modo rigido di recitare nella sale parrocchiali, dove bisognava tenere un tono alto per farsi sentire fino in fondo alla sala, costringendo così gli attori esordienti ad una voce senza modulazioni. A questo va aggiunto che per buona parte del film la bella ereditiera dialoga con il protagonista da un’altra stanza, dietro una porta, ma la voce pare amplificata da altoparlanti inesistenti: purtroppo in questa occasione, quindi, il doppiaggio ed il relativo sonoro sono stati assolutamente deleteri ed il risultato è assurdo.
Nel complesso il film è davvero buono e lo consiglierei: è di buona fattura e Geoffrey Rush è, come ci si può attendere, superlativo. Jim Sturgess lo trovo un po’ troppo giovane per la parte affidatagli, mentre Donald Sutherland, dall’alto della sua vasta esperienza, gigioneggia.
Film godibile, ma per carità non parliamo di capolavoro!
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