Regia di Michel Gondry vedi scheda film
Non sono poi molti i registi in circolazione in grado di sorprenderti sempre e comunque (a volte nel bene ed a volte nel male), Michel Gondry è uno di questi e sorprende assai di meno il suo impegno (immersivo) in una trasposizione a rischio totale come quella de “La schiuma dei giorni” di Boris Vian.
Ha diviso parecchio, per il sottoscritto è un’opera che comunque non si può non vedere, caratterizzata da una visionarietà unica.
Colin (Romain Duris) si può permettere di vivere senza lavorare e condivide la sua surreale abitazione con un topo ed un cuoco (Omar Sy).
Poi ad una festa s’innamora di Chloe (Audrey Tatou), in breve tempo la sposa, ma la ragazza scopre presto di essere affetta da una malattia che spingerà Colin a fare di tutto per salvarla.
Nonostante il suo impegno, che lo spinge addirittura a trovare un lavoro, tutto sembra andare sempre peggio.
Tolto tutto l’ornamento, la trama in fondo sarebbe realmente semplice, ma prima di tutto si parla di un universo creato con una profusione di fantasia da fare invidia a chiunque, poi in secondo luogo le modalità di esecuzione vanno realmente contro ai pensieri che danno vita alla stra grande maggioranza del cinema che siamo abituati a consumare.
Così, si viene travolti da una prima parte imperniata su di una fantasia che tutto travolge, scavallando ogni sorta di barriera pensabile, mentre nella seconda i sogni (ci) vengono letteralmente spazzati via senza alcuna pietà con tonalità che cambiano drasticamente passando al funereo e tutto ciò che vediamo segue questa mutazione (per esempio le tonalità dei colori, ma proprio la cadenza segna il passo).
Questo avviene in un vero e proprio mix di generi, una meraviglia, anche dark, che non si pone limiti per un esercizio creativo che consente il massimo dispiego di se a Michel Gondry che negli extra del bluray descrive in dieci secondi il film (SPOILER “Due giovani si conoscono e si amano, poi lei si ammala e muore, e lui non tarderà a seguirla e non sarà nemmeno il solo” FINE SPOILER).
Si tratta di una purissima genialità figurativa, ma non solo, per un universo ricco di poesia surreale, ricolmo di amore, malattia e morte (praticamente tutto).
Un connubio che al pubblico non piace (scoccia quasi constatare quanto sia stato ignorato), esposto in una forma sclerotizzata, una sorta di “casino ragionato” che, come minimo, si colloca in una posizione a se stante a livello cinematografico e se va bene se ne finisce completamente travolti.
Lacerante ed eccentrico, un’opera d’arte.
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