Regia di Ricky Tognazzi vedi scheda film
Piccola storia, piccola unità d’azione, piccola unità di tempo, piccolo gruppo. Nella sua grazia per niente ruffiana l’opera prima di Ricky Tognazzi è una riuscita trasposizione di un testo teatrale che forse meglio di ogni altro (perché con un punto di vista interno) ha rappresentato una generazione ubriaca di sé stessa e delle proprie piccole ambizioni. Affidandosi alla sceneggiatura cinematografica dell’amata Simona Izzo, del mostro sacro Ruggero Maccari e dell’autore del copione teatrale Claudio Bigagli, Tognazzi junior offre un piccolo saggio di come un giovane regista deve mettere in scena una storia senza snobismi, senza ruffianate, senza sotterfugi. Dura meno di un’ora mezza? Fa niente. Non l’hai scritta te direttamente? Tanto meglio. Un piccolo antidoto di discreto artigianato contro certi autoruccioli che hanno popolato il cinemino degli anni ottanta (ma pure dopo). E più che un racconto corale alla fine diventa il ritratto di un giovane non più giovane ma non ancora adulto eppure già adulto (quell’età di mezzo in cui non sai che fare) ossessionato dal contagio con i microbi, con le malattie, con il resto del mondo, con i sentimenti. Come se non voglia mai mettersi del tutto in mezzo per evitare di essere contagiato dal circostante. Lo rappresenta uno schietto Sergio Castellitto. Al suo fianco, quella potenza minuta e veemente di Lina Sastri, il candore di Nancy Brilli, la meschinità di Nicola Pistoia, la burinaggine di Pino Quartullo, le nevrosi di Roberto Citran. Perché, alla fine, è la fotografia di un gruppo di nevrotici in compiaciuta e coatta claustrofobia.
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