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Flight

Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film

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La recensione su Flight

di EightAndHalf
3 stelle

Cinema dei reietti, di coloro che sono vittime di loro stessi, delle loro bugie, dei loro vizi più ricorrenti. L'umanità di Flight, quella vera, sincera e il più delle volte stucchevole, se non caricaturale, sta in quei poveri uomini che non sono in grado di controllare i loro impulsi, sesso, droga e alcool, che Zemeckis ci lancia addosso fin dalla prima sequenza, con un nudo femminile integrale e una tirata di coca con annesse rigeneranti vibrazioni sonore che vorrebbero essere appassionata e contraddetta presentazione di un anti-eroe costretto a confrontarsi con il destino. Messo a paragone il grandioso incidente (25 minuti di sequenza sull'aereo, la parte migliore del film) con l'overdose dell'altra protagonista, Kelly Reilly, che pure vive su sé stessa un piccolo 'disastro', Zemeckis procede con piglio spielberghiano (nel senso peggiore del termine) la sua osservazione al limite del qualunquisimo sugli effetti che le dipendenze possono avere nella vita, e di come il destino dell'essere umano possa essere oggetto più o meno alla sua volontà o a una imponderabile volontà divina, quella che avrebbe fatto crollare l'aereo e quella che avrebbe costretto una gran numero di poveri cristi rinuitisi poi alla Alcolisti Anonimi a cominciare a ingerire sostanze sempre più eccitanti e annichilenti, per una tristezza che nasce sempre e comunque da insoddisfazioni, e che ha ragioni profonde nell'andazzo vitale assolutamente spregiudicato e in qualche situazione traumatico in cui si versa abitualmente. E' così per il protagonista, divorziato con un figlio che non vede da anni e incapace di riformare una qualche relazione seria; è così per Kelly Reilly che, chiusa in una camera d'albergo, chiede a un regista di porno amatoriali di vendergli una nuova dose che potrebbe essergli letale. In questo compassionevole ritratto di un'umanità che potrà liberarsi del carico di una volontà assoluta contraria a una bontà etica probabilmente raggiungibile e dannatamente contingente, tutti i personaggi si salvano, vengono alla fine privati delle loro responsabilità perché o le colmeranno in nuovi stimolanti rapporti umani o le riverseranno nella responsabilità civile e penale per un disastro di proporzioni grandiose ma in cui, che l'abbia voluto Dio o il protagonista stesso non si sa, i morti sono stati molto pochi. Il dilemma che il personaggio di Washington vorrebbe lanciare, ovvero quello riguardante la formulazione di una nuova definizione di eroe, che è sì caratterizzato da un comportamento non condivisibile ma poi è in grado delle migliori prodezze, si dilegua quasi immediatamente dopo la sequenza dell'incidente, tragicomica sequela di disavventure ingegneristiche di aeronautica, e si annacqua nella piattezza registica e fantasiosa di una trama immobile e vacua, in cui Zemeckis sembra azzerare un'intera filmografia di appena discreto rilievo (ma con numerosi gioielli) per lanciarsi in un'operazione che sarà apprezzabile da chiunque e che soprattutto metterà d'accordo tutti, in quella spinta giustizialista finale che in un film americano come questo, che sarà una parentesi semi-seria per gli spettatori di block-buster acefali, è condizione sufficiente e necessaria. 
Gli attori fanno il loro lavoro e lo fanno bene, il ritmo è coinvolgente e non fa sentire troppo i 130 minuti, ma il tono pedante che vuole circondare di un'aura ostinatamente originale (ma quanto mai pedissequa) un Denzel Washington dotato del perfetto physique du role stanca molto presto e non si riesce a risanare neanche nelle sparute divertenti comparsate di John Goodman (a dire il vero assai macchiettistico, parantesi anch'esse semi-serie di un film eticamente impegnato) al suono di Sympathy for the Devil dei Rolling Stones, lanciando Flight sulla disastrosa rotta del giustificazionismo insistito, del moralistico travestito da ironico, del temperato che aspira a raggiungere mente e cuore. Quando poi si mette in bocca a un malato terminale il tema ultimo della pellicola, l'eroica individualità contro la 'bastarda' volontà universale (o divina), allora tutto il discorso sull'impotenza dell'uomo (che trova il riscatto, come al solito, nel sacrificio e in una redenzione consolatoria), che anche avrebbe potuto salvare il film di Zemeckis, cerca di farsi riflessione da affiancare a una fiducia nell'essere umano (fiducia cieca e molto americana) e precipita scendendo in picchiata spiaccicandosi su un buon senso filmico del tutto dimenticato.

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