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Flight

Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film

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La recensione su Flight

di Stuntman Miglio
8 stelle

Feelin’ alright – Notte brava per il Comandante Whitaker. Sesso, droga ed ettolitri di alcol. Nessun riposo, solo adrenalina in circolo ed un nuovo volo da affrontare il mattino seguente.
Sweet Jane – Nicole, sola e sconfortata, non riesce a trovare pace se non fra le braccia di mamma eroina.
Gimme shelter – Un incidente aereo e un’overdose. L’incontro fra due sopravvissuti.
A rendermi soddisfatto basterebbe il suddetto incipit sulle note di capolavori rock senza tempo ma il Flight di Robert Zemeckis ha altre traiettorie, altre destinazioni. Il convergere di due disperazioni è in questo caso un semplice veicolo narrativo per raccontarci altro, per mostrarci quale calvario possa diventare un’esistenza minata dalla debolezza, dall’insicurezza. Nessun fato, nessun dio (per quanto la sua presenza venga suggerita a più riprese), solo libero arbitrio. Il pilota salva miracolosamente la vita di 96 persone ma decide di autodistruggersi per il senso di colpa. La giovane tossica trova un nuovo amore ma sceglie di abbandonarlo per non riprecipitare nell’oblio. Le cause sono accennate, gli effetti sono il fulcro dell’intera pellicola. Alcolismo e menzogna, disastri e sconfitte. Zemeckis abbandona la liberatoria corsa dello straordinario Forrest Gump per concentrarsi sulla fuga di una sua potenziale nemesi ordinaria. Lo fa a suo modo, orchestrando un blockbuster drammatico di grande impatto, in grado di affrontare sia l’aspetto spettacolare – magistrale la lunga sequenza di volo – che quello più intimista – nel faccia a faccia fra protagonista e minibar c’è l’annientamento di tutto lo scibile umano. Non immune da retorica, certo, soprattutto in quel quarto d’ora finale tendente alla riconciliazione, ma carico di contenuti e confezionato a regola d’arte da un regista ancora in grado di fare vero cinema d’intrattenimento. A lui dobbiamo anche la splendida direzione di un cast memorabile: Washington, superbo ed impeccabile, torna a primeggiare dopo diverse prove poco impegnative ricordandoci quanto possa essere grande mentre Kelly Reilly (mamma mia che splendore), il cui candore malato ipnotizza sin dalla prima sequenza, emerge come una vera e propria rivelazione. Don Cheadle e Bruce Greenwood a contenere d’esperienza e poi ancora Melissa Leo, Peter Gerety e l’estemporaneo “rimorchiatore” di John Goodman che pare sbucato fuori da una contaminazione coeniana stile Barton Fink. Come dire, sympathy for the devil.

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