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Flight

Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film

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La recensione su Flight

di M Valdemar
4 stelle

Sympathy for the Devil e il sermone finale non vanno molto d’accordo. C’era da aspettarselo: prima si agitano le acque facendo affogare l’ultravizioso protagonista in un oceano di alcool, droghe, arroganza e incapacità assoluta di autocontrollo, poi lo si fa affondare nella più banale, conciliatoria, moralizzante e inverosimile delle redenzioni.
Del resto, i presagi della giustizia divina si erano già manifestati con tutto il loro carico di simbolismi e ammonimenti (la corsa dei fedeli di bianco vestiti sul luogo dell’incidente, ripresa più volte; il malato di cancro incontrato in ospedale; il discorso di un uomo all’alcolista anonimi; la preghiera del secondo ufficiale).
Un'altra menzogna, la più importante, e ce l’avrebbe fatta, il comandante Whip Whitaker; ha salvato un centinaio di vite con manovre ardite e miracolose (la parola “miracolo” ricorre spesso quanto i primi piani di Kelly Reilly), ma siccome è un incallito bevitore, un drogato nonché padre disastroso (naturalmente dietro le sbarre riallaccia il rapporto col figlio) allora è destinato alla condanna e conseguente salvezza.
L'uomo può sbandare, autodistruggersi, cadere nelle maligne tentazioni, diventare una cattiva persona, però può sempre ritrovare la retta via, confessare e diventare un uomo “giusto” (nel discorso da carcerato di Whip lo stesso continua a ripetere quanto sia giusto quello che gli è capitato: la prigione, la perdita del patentino da pilota, le parole di biasimo del giudice). Sembra essere questa la morale della favola, a dispetto di tutti i furbeschi ammiccamenti messi come esca per topi (cioè gli spettatori): i sulfurei pezzi musicali (che invero riecheggiano un po’ a caso e come altrove in altre opere di Zemeckis per pochi secondi), l’aria strafottente e affascinante del  protagonista, le donne (nell’incipit la macchina da presa si dilunga come un ginecologo sul corpo celestiale di Nadine Velazquez), i siparietti con John Goodman (il suo invece è un corpo estraneo dal film).
La parabola di quest’individuo così dissoluto, la sua inarrestabile deriva verso la più totale mancanza di freni e di controllo, però capace di gesta inequivocabilmente eroiche ed uniche, aveva ben altre potenzialità di sviluppo ed approfondimento, ma gli autori hanno deciso per una più sicura, tipicamente americana, virata sul buonismo e sui giusti valori.
Robert Zemeckis, di ritorno al live action dopo essersi assurdamente trastullato per (troppi) anni con motion capture e animazione digitalizzata (altro che diavolo), dirige bene, sa come tenere la tensione e il ritmo - sia nella concitazione dell’incidente sia nella seconda parte, più lenta e concentrata sulle dinamiche che riguardano Whitaker (da registrare qualche lungaggine di troppo) - senza che per questo ci si possa strappare le vesti e gridare al capolavoro. Più che altro, trattasi di ordinaria amministrazione per un regista indubbiamente dotato e abile.
Flight, senz‘altro “importante” dati gli sforzi produttivi - e stante anche quanto sopra detto - non è però certamente un grande film, del quale va inoltre evidenziato che cerca di aggirare un'evidente mancanza di originalità di fondo unendo generi (il catastrofico, il giudiziario, il drammatico) e mischiando le carte, sino alla caduta finale.
Che nemmeno il “miracolo”, frutto della combinazione tra la formidabile prestazione di Denzel Washington e la magnetica presenza di una sensazionale Kelly Reilly, riesce a evitare.

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