Regia di Giulio Manfredonia vedi scheda film
Cetto Laqualunque è tornato. Giusto il tempo per finire in prigione sui titoli di testa di “Tutto tutto niente niente” ma si sa, i simpatici furfanti come lui non rimangono dentro a lungo. Anzi, il caso – ed un regolamento di conti di stampo mafioso – fanno addirittura sì che il nostro trascinatore calabrese esca dal carcere per sedersi direttamente in parlamento. Incipit sin troppo credibile, soprattutto nel paese che sembra una scarpa, per il ritorno alla satira politica di Antonio Albanese. Nel seguito del già fortunato “Qualunquemente”, il nostro si triplica aggiungendo due nuovi (si fa per dire) personaggi: Frengo, santone cannabinoide in odore di beatificazione, e Rodolfo Villaretto, maniaco secessionista con un sogno austriaco nel cassetto. Una perfetta sintesi del peggio della nostra classe politica che si muove (sicura ed impunita) fra ignoranza, nepotismo, corruzione, concussione, razzismo e ovviamente bunga-bunga. Una formula vincente al botteghino ma di corto respiro, qui ulteriormente soffocata dall'aumentare di personaggi e situazioni che Manfredonia mette in scena per episodi concentrici lasciando libera espressione al proprio mattatore che imperversa in ogni sequenza. Un divertissement che come il precedente soffre ancora di una comicità troppo televisiva e che nella seconda parte risulta sin troppo trattenuto perdendo l’opportunità di affondare il colpo a vantaggio di stramberie decisamente più superficiali. Non è il tipo di commedia che mi fa impazzire ma qualche risata la strappa e in più si può godere della presenza del sempre grande Fabrizio Bentivoglio. Albanese poi è bravo, lo è sempre stato, ma al cinema lo preferisco in ruoli drammatici. Sarà che questi film “personaggio” mi lasciano sempre l’impressione di aver assistito ad una puntata maxi di Mai dire goal.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta