Regia di Giulio Manfredonia vedi scheda film
Sinceramente non ho ancora capito se questo film mi è piaciuto o no. Agli italiani sta evidentemente piacendo se a due settimane dall'uscita in sala è piazzato al terzo posto del nostro box office. Non altrettanto si può dire della critica che, pur senza assestare stroncature totali, vi ha individuato più difetti che pregi, riservandogli un'accoglienza molto distaccata e perplessa. E se dopo la visione anche il sottoscritto non ha le idee tanto chiare, qualcosa che non funziona ci dev'essere. Premettiamo due cose (entrambe positive). Intanto diciamo che Antonio Albanese è straordinario nel coltivare il proprio trasformismo e nell'esibire una performance vivacissima ma tutto sommato calibrata, confermandosi "comedian" di razza. Poi mi sento di omaggiare una persona che magari il pubblico non conosce ma che si è battuta con tutte le forze perchè il film fosse portato a termine: mi riferisco al giovane produttore Domenico Procacci, uno dei nostri uomini di cinema più intelligenti e coraggiosi. Ciò detto, io credo che in questo film, eventuali mancanze vadano individuate nella regìa di Giulio Manfredonia. Si tratta di un regista solitamente bravo, ma che qui a mio avviso non è riuscito a coordinare (e a contenere) l'esuberanza e la ricchezza visiva di un protagonista incline alla ridondanza. Il tema della pellicola è arcinoto. Vengono messi in scena da un Albanese scatenato ben tre personaggi che sono poi tre incredibili maschere. Frengo è un debosciato rincoglionito dall'abuso di cannabis che si distingue per una visione dell'umanità a cavallo tra la new age e l'immaginario hippie, oltretutto tormentato da una madre invasata, ossessionata da un'idea assai pacchiana della fede religiosa. Rodolfo Favaretto è l'archetipo del leghista hardcore: razzista, ignorante e balordo, piuttosto maldestro nell'organizzare un progetto che coniuga la solita secessione con una serie di modifiche al piano stradale. E infine il politico campione di cinismo Cetto Laqualunque, che raccoglie in sè tutti gli elementi più scontati e prevedibili di chi punta tutta la propria carriera su corruzione ed interessi personali, naturalmente portato a sopravvalutare il suo carisma con le donne, le quali sì, si uniscono a lui, ma solo facendosi pagare. Ecco, questi tre personaggi rappresentano la feccia di un'umanità corrotta, ideali zero, dedita solo a realizzare il proprio tornaconto. Quasi tutti i commenti sono stati concordi nel definire questa "idea" come tristemente bruciata da una realtà che ha largamente superato la fantasia, sottraendo efficacia alla fruizione del prodotto, anzi generando qualche amarezza tra una risata e l'altra. Io credo che queste argomentazioni siano abbastanza prevedibili e comunque lasciano il tempo che trovano. Non è poi così importante, insomma, anche perchè tutto il film è impostato non certo su aspetti realistici o riconoscibili ma, anzi, è votato al grottesco spinto, alla caricatura eccessiva, al surreale disinibito, producendo un effetto teatrale dell'assurdo che, se da una parte preserva l'operazione da una deriva di banalità, tuttavia dopo un pò stanca perchè la regìa di tutta questa sciamannata allegoria pare sfuggire al controllo favorendo una certa autocompiaciuta confusione. Insomma le gag e le soluzioni visive stravaganti finiscono con l'andare un pò troppo oltre le righe. E si ha l'impressione che Albanese abbia voluto strafare senza rendersi conto che mettere in scena certi "numeri" a teatro o in tv è cosa differente dal doversi confrontare col prodotto filmico, che esige ritmo e scrittura di respiro assai diverso. E' chiaro poi che Albanese -l'uomo ha talento- può interpretare anche ruoli drammatici (come peraltro è già accaduto con buoni risultati) ma non oso pensare a cosa ci potrà ammannire al suo prossimo (inevitabile) film comico. L'importante è che sappia trovare un regista che ne moderi la tendenza all'eccesso istrionico, ma la vedo dura trattandosi di artista con la vocazione del mattatore. Inoltre mi sembra di aver notato affiorare qua e là qualche riferimento colto che rivela una certa ambizione, non comune in un prodotto comico natalizio; mi riferisco ad esempio ad una cura inconsueta per trucchi e costumi sgargianti, oppure le facciate di certi edifici che rammentano l'architettura dell'epoca fascista, o anche taluni richiami estetici alla Repubblica di Weimar. Tutti elementi che ne fanno uno spettacolo non banale, ma che paiono utilizzati inadeguatamente nel contesto di un film comico di satira, spesso generando solo un effetto eccentrico-straniante. Da segnalare positivamente, invece, la scrittura di personaggi di contorno che rivelano curiosa e brillante consistenza. E vediamo dunque sfilare innanzitutto un azzeccato sottosegretario genialmente impersonato da un inedito Fabrizio Bentivoglio (personaggio che qualcuno ha definito "lisergico"). Convincente senz'altro anche la prova di una Lunetta Savino simpaticamente stralunata. Da segnalare inoltre le brevissime partecipazioni di due affermati caratteristi come Teco Celio e Luigi Maria Burruano, oltre ad una mera comparsata (inspiegabilmente muta) di Paolo Villaggio. Concludendo. Fermo restando che il sincero trasporto civile e la passione di Albanese sono fuori discussione, il problema sta in chi avrebbe voluto realizzare un film "felliniano-psichedelico" e invece lo spettatore si ritrova a ridere (e neanche poi così tanto) di un cabaret inutilmente enfatico e confusamente grottesco.
Voto: 6
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